Un Consolato Generale tra Umanesimo e Tecnologia

Letizia Airos (March 18, 2016)
Intervista con il nuovo Console Generale a New York, Francesco Genuardi

Lo incontriamo appena arrivato. Nella suo secondo giorno presso la sede di New York come Console Generale. Seduto vicino alle bandiere d’Italia e dell'Unione Europea, Francesco Genuardi, si racconta incalzato dalla nostra curiosità.

E cominciamo proprio dall'inizio, dal luogo dove è nato: Bruxelles.

 “I miei genitori lavoravano lì,in particolare mio padre presso la Comunità Europea. Di origine palermitana, è stato uno degli esponenti della prima ondata di funzionari italiani che hanno lasciato l'Italia per contribuire a costruire l’ideale europeo a Bruxelles.”

Lei ha l’Europa in famiglia quindi, nel sangue per così dire. Ma Bruxelles è anche una luogo che ha visto storiche ondate migratorie italiane. Cosa ricorda di quella città?

Ho passato lì i primi otto anni di vita, decisivi per la formazione ma che certo non mi hanno permesso di avere conoscenze approfondite della realtà belga e italo-belga. Però sono rimasto molto legato a Bruxelles che ho servito come tappa, sede della mia carriera diplomatica tra il 2002 e il 2005 alla Nato. Fu in questa occasione che ho potuto approfondire la ricchezza e la varietà delle componenti sociali, della popolazione del Belgio e, in particolare, questa grandissima storica comunità italiana che c’è a Bruxelles.

Un po' di ricordi del suo percorso da diplomatico...

Sono entrato in diplomazia con il concorso del 1993. Fino al 1998 sono stato a Roma, anni di formazione iniziale, un bellissimo periodo, anche prolungato rispetto alla media, in cui mi sono occupato di questioni economiche e multilaterali, in particolare di protezione dell’ambiente. Ricordo con grandissimo piacere quell’esperienza, anche perché mi ha permesso di conoscere abbastanza bene New York dove sono andato spesso per partecipare alle riunioni alle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile. Erano gli anni della famosa conferenza di Rio del 1992 sulla protezione dell’ambiente e si stava strutturando sempre di più il negoziato ambientale, ovvero il concetto che la diplomazia doveva essere capace anche di prevenire le crisi internazionali attraverso la protezione più rafforzata dell’ambiente. Poi, tra i tanti bei ricordi un periodo al servizio stampa del portavoce del ministero degli Esteri, curando uno degli aspetti più belli che è quello mediatico che non nascondo che sia una mia passione.

Parliamo di questa sua nuova sede ...

New York… Da un lato la conosco da un lato abbastanza bene, dall’altro no, visto che è cambiata così tanto in questi anni. Essere qui come Console Generale è un grande privilegio. E' una delle capitali del mondo, se non la capitale del mondo. E’ poi una città profondamente italiana, dove a ogni angolo si respira la forza e la presenza italiana sotto tanti aspetti: economici, culturali, sociali. Quindi per me è un onore e una grandissima responsabilità.

New York ed il suo sindaco di origini italiane. Nell’attesa di venire a New York lei è andato in visita nella terra d’origine di Bill de Blasio, come mai?

Sì sono stato a Sant’Agata de’ Goti, terra di origine dei nonni del sindaco di New York. In questa rapida fase di preparazione a Roma ho sentito, oltre che il dovere, la curiosità di visitare un paese così bello e oggi così legato a New York. Ho incontrato il sindaco del paese, varie autorità e alcuni cugini della famiglia di De Blasio. È stata un’esperienza bellissima, ho avvertito un legame, un’emozione, una specie di linea diretta tra Sant’Agata de’ Goti e New York. Ho potuto toccare con mano il calore della gente e l’orgoglio di avere un proprio discendente alla guida della città più importante degli Stati Uniti. E tutto questo nel solco di una tradizione di grandi sindaci italo-americani.

C'è un altro Paese che ha avuto un ruolo importante nella carriera – e non solo nella carriera – di Francesco Genuardi: l'Argentina.

"È stata la mia prima sede diplomatica all’estero, come vice console tra il 1998 e il 2002. Un’esperienza straordinaria che mi ha segnato dal punto di vista professionale, perché mi ha fatto conoscere la forza e la presenza delle comunità italiane all’estero. Gli italiani hanno dato tanto alla nascita e alla crescita di Stati importanti come l’Argentina e come gli Stati Uniti. È stato anche un luogo cruciale dal punto di vista personale: ho avuto la fortuna di conoscere mia moglie che è di Buenos Aires.
 
Definire gli italiani in Argentina è molto difficile in poche parole. Hanno una storia intensissima, di grande passione argentina e di grande passione italiana. Ci sono delle persone che combinano dentro di se queste due eredità culturali in maniera molto naturale, molto forte e credo ci sia un sentire comune. E’ molto affascinante."

Veniamo alla comunità italiana degli Stati Uniti: cosa pensa che possa dare l'Italia agli Italo-Americani e viceversa gli Italo-Americani all'Italia?

"Questa vastissima fetta di popolazione statunitense, che ha origini italiane, rappresenta una forza e l’asse centrale della relazione tra due Paesi così strettamente alleati come l’Italia e gli Stati Uniti. Vorrei sottolineare anche l’importanza del recente incontro a Washington tra il presidente Obama e il nostro nuovo Ambasciatore Armando Varricchio, in occasione della presentazione delle credenziali.

Lì si è avuta una forte testimonianza del rapporto bilaterale così stretto tra Italia e Stati Uniti; e la nostra comunità italo-americana, gli americani di origine italiana, sono i veri protagonisti di questo legame tra due Paesi. Il nostro compito, come rappresentanti delle istituzioni italiane, al servizio dell’ambasciata a Washington è di rafforzare ogni giorno di più questo legame e di proiettare l’Italia di oggi nella realtà americana. La comunità è l’espressione del rapporto tra Italia e Stat Uniti."

E c’è poi un'emigrazione nuova. E’ possibile avvicinare di più le istituzioni a queste persone? Ricordo l'iniziativa, Meet the New Italians appena partita in Consolato. Incontri di giovani con i diversi rappresentanti del mondo del lavoro degli italiani di New York.

"Questo è uno dei punti cruciali di come deve operare un Consolato d’Italia in una realtà come gli Stati Uniti. Abbiamo una parte della comunità italiana rappresentata da giovani che sfruttando la grandissima mobilità che caratterizza l’era contemporanea hanno deciso di trasferirsi qui. Il Consolato deve essere in grado di avre un rapporto con queste realtà, anche tramite iniziative interessanti e positive come Meet the New Italians, che intendo continuare e rafforzare. Vorrei dare a questa nuova generazione il senso dell’appoggio delle istituzioni italiane, dell’ascolto, anche per capire e intercettare i loro problemi e le loro aspirazioni.

Occorre mettere a disposizione le competenze del Consolato e magari anche l’apporto delle altre generazioni della comunità italiana che sono radicate qui da più tempo. E’ questo un lavoro che il Consolato Generale d’Italia ha iniziato, secondo il quadro delle strategie delineate dall’Ambasciata, e penso che sia un percorso da seguire sempre di più.

E' anche una maniera per dire agli italiani di nuova emigrazione - o potremmo chiamarla di “nuova mobilità” - che siamo qui e pronti ad ascoltarli, ad aiutare e a cercare di far dialogare e interagire tutte le parti della presenza italiana. Noi dobbiamo mettere a sistema tutte queste presenze, cercare di offrire tutti i nostri servizi e sfruttarne la ricchezza. Sono convinto che molti di loro torneranno in Italia. L’Italia è il nostro Paese, il Paese al quale siamo legati. Ma se qualcuno non tornerà in Italia noi non lo consideriamo un “cervello in fuga”, ma in un mondo sempre più globale, un asset da valorizzare qui a New York con grande impegno e intensità.

Parliamo degli americani  "italofili”, degli “italici” come li chiama qualcuno. C’è un grande amore per l’Italia qui...

E' un amore straordinario che ci riempie di maggiori responsabilità nel nostro lavoro di rappresentanti delle istituzioni italiane qui a New York perché dobbiamo essere all’altezza di questa straordinaria “domanda d’Italia” che avvertiamo: umana, lavorativa, creativa. Non solo di intercettarla ma anche di farla fruttare e metterla a sistema. Una proiezione rafforzata e corale dell’Italia a New York e’ fondamentale. Tengo a sottolineare come durante il mio mandato vorrò sottolineare il gioco di squadra tra le istituzioni italiane presenti a New York, sempre sotto la direzione dell’Ambasciata. Così il Consolato Generale, l’Istituto d’Italiano di Cultura, l’Ice, la Banca d’Italia, la Camera di commercio, sono tutte componenti di un’orchestra che devono saper suonare insieme, saper valorizzare e moltiplicare l’amore per l’Italia rinsaldando ancora di più le relazioni a cascata, economiche e culturali, tra Italia e Stati Uniti. Penso al turismo, al food, alla moda, alla cultura, al cinema…"

La lingua italiana. L’amore degli americani passa anche attraverso il crescente desiderio di apprendere questa lingua straordinaria. Una porta aperta non solo alla diffusione della nostra cultura ma anche ad investimenti nel nostro Paese, al mondo del commercio, degli affari.

"La lingua italiana è uno snodo essenziale. Non solo ti permette di riscoprire le tue origini, la tua identità, il tuo orgoglio. E' anche veicolo per rafforzare la nostra presenza economica, il turismo americano che è già elevatissimo in Italia. È il veicolo per avere una presenza nel campo dell’alimentazione ancora più forte a New York. Credo sia una priorità assoluta e l’ha ribadito, pur tra i mille problemi e le mille priorità di politica estera, il ministro degli esteri Paolo Gentiloni in una seduta di question time alla Camera. Rispondendo a un’interrogazione parlamentare, ha detto che una delle priorità dell’Italia è l’insegnamento e il rafforzamento della lingua."

Ci sono diverse realtà universitarie legate al mondo della cultura italiana, piccole e meno piccole. Poi strutture come la la Zerilli-Marimò della NYU, Calandra Institute delle Cuny, l'Italian Academy della Columbia, il Centro Primo Levi … Tutti centri che, anche se in maniera indiretta, svolgono un ruolo importante per quello che chiamiamo “Sistema Italia”. Quanto è importante coinvolgere anche questi centri di studio nelle iniziative?

Questo è un altro punto strategico, la relazione con l’università è cruciale. Qui stiamo parlando di come prepariamo il futuro, il futuro delle prossime generazioni, di come prepariamo il mondo che avremo tra non molti anni. So che c’è una presenza elevatissima e significativa di professori italiani nelle grandi università newyorkesi e negli Stati limitrofi. So che ci sono queste realtà di integrazione tra le grandi università americane e istituzioni italiane. Penso all’Italian Academy della Columbia, alla Casa Italiana della NYU, al Calandra Institute, anche al Centro Primo Levi con il suo lavoro legato alla presenza ebraica italiana. Sono realtà vive, vitali e prestigiosissime che servono a mantenere e a far crescere questo legame tra i due mondi culturali universitari americani e italiani. Dovremo puntare ancora di più su questa integrazione e contare anche sull’enorme quantità di studenti americani che vengono in Italia a passare una parte dei loro studi. Le strutture menzionate sono una ricchezza enorme, dei veri e propri “pozzi di petrolio” del soft power italiano.

Parliamo dei servizi consolari, forse dovevo cominciare a da qui, da quello che è il primo compito di un Consolato ma ho preferito far conoscere prima un po' il nuovo Console Generale. I consolati sono molto cambiati negli anni; quanto è importante questo cambiamento anche dal punto di vista tecnologico?

La ringrazio per questa domanda perché mi dà l’opportunità di ribadire quello che ho detto qui a tutto lo staff in queste primissime ore. E ne approfitto anche per sottolineare che ho ereditato un consolato generale che è stato gestito da Natalia Quintavalle in maniera superlativa, con uno staff di eccellenza sia a livello di vice consoli che di altri impiegati. La bussola, la priorità del mio mandato consolare sono i servizi consolari, il loro rafforzamento e miglioramento per arrivare a una sempre maggiore soddisfazione dell’utenza del Consolato, che è il nostro obiettivo. Tutto questo lo facciamo e lo faremo cercando di rafforzare la componente tecnologica dell’erogazione dei servizi consolari che è essenziale. Bisogna adeguarsi, stare al passo con i tempi, ci sono ancora dei margini di miglioramento e ci stiamo già lavorando in queste prime ore e ci lavoreremo in questo periodo. Allo stesso tempo, dobbiamo trovare un punto di equilibrio tra la crescita tecnologica e la dimensione umana perché non dobbiamo dimenticarci che siamo italiani, e noi italiani giustamente abbiamo bisogno non solo di vedere un computer, un terminale e una stampante ma vogliamo vedere una persona con cui ci possiamo confrontare per risolvere le nostre problematiche. Il Consolato continuerà ed incrementerà le missioni – soprannominate “Consolato fuori le Mura” – dirette a incontrare tutti i cittadini della circoscrizione consolare, dal New Jersey (ad esempio a Newark, dove purtroppo è stata chiusa la sede) al Connecticut."

L’Italia dunque non è solo cibo e vino, arte, moda, design, ma anche tecnologia. Punto di forza poco conosciuto a volte del nostro Paese. La recente mostra “Make in Italy” all'Istituto di Cultura ha raccontato anche tutto questo, ricordandone sempre anche la componente fortemente umana. Tecnologia quindi, ma anche vicinanza alle persone, alle loro vicende. Un modo di lavorare insieme che arricchisce un Consolato Generale.

"Credo che possiamo lavorare serenamente tutti i giorni per cercare un punto di equilibrio sempre migliore tra la componente tecnologica e quella umana, però non penso che possiamo dirigerci, come altri Paesi, in particolare quelli nordici, che esternalizzano di più, a rendere meno visibile il volto umano dell’erogazione dei servizi. Siamo il Paese di Olivetti, ma anche dell’Umanesimo e del Rinascimento e dobbiamo combinare le due cose."

Buon lavoro Console Generale, da tutto lo Staff di i-Italy e dai lettori che ci seguono.

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