La Linea del colore, intervista a Igiaba Scego

Monica Straniero (April 10, 2020)
Conosciamo Igiaba Scego per le sue opere caratterizzate da una cifra essenziale di forte verticalità che arriva ad esiti alti e con un linguaggio originale sotteso ad un'idea dominante: l'attualità italiana messa in costante relazione con i crimini coloniali dell’età fascista. Un approccio che rivela quell’atteggiamento collettivo e nazionale di rimozione del passato storico, una storia minimizzata che rimanda all’immagine degli “italiani brava gente,” bravi colonizzatori.

Nata in Italia nel 1974, Scego è figlia di profughi somali fuggiti dalla dittatura di Siad Barre. Cresciuta in Italia, è tornata in Somalia per brevi periodi durante l’adolescenza. Spesso ha dichiarato di non sentirsi né somala, né italiana ma di appartenere ad entrambe le culture. Scego rappresenta una figura della diaspora somala nel mondo, un'appartenenza, di cui la scrittrice è conscia e che la spinge ad analizzare le varie situazioni subite dai somali, costretti a fuggire dal proprio paese per stabilirsi altrove. Nei suo romanzi c'è un doppio sguardo, italiano e somalo, attraverso il quale la scrittrice mette in luce i riverberi razzisti e sessisti di un paese segnato da una crisi sociale e politica che si traducono poi in ricadute importanti sulla situazione odierna dell’immigrazione in Italia.

Altro elemento sono le donne da sempre collocate in una posizione subalterna per il loro genere e per la loro appartenenza di classe. I rapporti di razzismo e patriarcalismo tra le donne bianche e nere. La prospettiva postcoloniale e quella femminista nella narrativa della Scego passano così attraverso il corpo, nero, delle donne e dei migranti. Tutti temi che emergono nell'ultimo romanzo "La Linea del colore" Bompiani 2019, è in corso di traduzione negli Stati Uniti. Pubblicato a distanza di quattro anni da Adua (Giunti 2015), è un romanzo storico tutto al femminile che si muove su più livelli narrativi. Ambientato tra Italia, Somalia e Stati Uniti, si focalizza su Lafanu Brown, pittrice nera americana che a metà ’800 sogna di poter studiare i classici romani dal vivo, e su Leila, storica dell’arte contemporanea che vive nella Roma di oggi ed impegnata sia su una mostra dedicata a Lafanu Brown stessa sia nel cercare di supportare la cugina Binti, che compie il lungo e pericoloso viaggio verso l’Italia, avvvicinando il lettore alla quotidianità dei migranti e delle loro famiglie.

Igiaba Scego, perchè questo titolo?

Omaggia l’intellettuale afroamericano W.E.B Du Bois che indicava in quella linea, il confine costruito dal suprematismo bianco che definisce il mondo come diviso in due razze, separate. Quelle barriere che i bianchi costruiscono intorno a sè per e le persone nere. Ma è anche la linea del segno pittorico. La protagonista ottocentesca Lafanu Brown, una scultrice che lotta per affermarsi in un mondo dell'arte dove i neri non hanno diritti, decide di trasformare quella linea divisoria in un rivendicazione della sua libertà a realizzare il sogno e ad affrontare il Grand Tour per conoscere una cultura essenzaile per la sua maturità artistica.

Come mai a scelto di ambientare la storia nell'Ottocento?

E' un periodo storico a cui sento di appartenere. Sono laureata in letteratura spagnola e amo la letteratura dell'Ottocento, a partire da quella russa, inglese per arrivare agli autori spegnoli, poco conosciuti, e francesi. Nel corso di questi studi mi sono imbattuta in due personaggi femminili realmente esistiti. Nel personaggio di Lafanu Brown coesistono infatti due donne, entrambe afroamericane, che hanno vissuto a Roma, allora da poco capitale d’Italia, sul finire del XIX secolo. La prima è Sarah Parker Remond, ostetrica, attivista per i diritti umani e femminista nera. La seconda è Edmonia Lewis, scultrice nera statunitense. Due donne straordinare che hanno scelto di lasciare l'America razzista per trovare rifugio a Roma. Parlare di loro mi ha dato l'occasione di creare un racconto sul viaggio. Oggi viviamo una situazione per cui il viaggio è negato a coloro che non hanno un passaporto “forte” e non sono liberi di muoversi. Mi riferisco a chi vive al Sud del Mondo che non ha la possibilità di entrare legalmente in Europa e mette la propria vita in mano a trafficanti senza scrupoli per sfuggire ad un destino già segnato. La mobilità è un diritto umano e in tempi di quarantena, la Linea del colore può aprire le porte a forme di viaggio più meditativo rispetto a quello mordi e fuggi a cui siamo stati abiuati finora.

Leila è un ponte tra il passato coloniale dell'Italia e il presente in cui è negata la libertà di circolazione e che costringe sua cugina Binti a tentare un pericoloso viaggio dalla Somalia verso l'Europa. Quanto di Igiaba vive nel personaggio di Leila?

Leila è molto diversa da me ma condividiamo lo stesso destino, apparteniamo entrambe alla seconda generazione di migranti. Una generazione di genitori e in alcuni casi anche nonni che continua a non essere accettata da un paese dove ancora non esiste una legge sulla cittadinanza basata sullo ius soli. Siamo italianissimi ma non ci considerano tali. E chi come me si è affacciato all'arte della scrittura è stata ingabbiata nell'etichetta di scrittrice migrante che assoggetta il racconto degli afrodiscedenti a logiche esperienziali ed identitarie. Sono una raccoglitrice di storie e ho scritto un romanzo storico a cavallo tra l'Ottocento e il presente per rivendicare il nostro diritto all'immaginazione che ci è stato negato. Scrittori con il mio colore sono ancora collocati tra i titoli della letteratura migrante, non siamo considerati/e letteratura italiana. Ma qualcosa sta cambiando e lo dimostra il fatto che la Linea del colore è stato inserito tra i titoli della narrativa italiana.

La linea del colore si muove tra l’America schiavista e abolizionista e Roma, una città dapprima papalina, poi italiana per arrivare a quella attuale.

Noi afrodicendenti in Italia abbiamo sempre guardato all’America o meglio agli afroamericani. Loro sono stati i nostri modelli di vita e mi riferisco a Rosa Parks, James Baldwin, Malcolm X, Martin Luther King, Toni Morrison. La mia libertà viene dalla loro lotta in tempi in cui i non trovavamo le parole per descriverci. Ma ad un certo punto è arrivata la consapevolezza che non ero afroamericana, la mia identità è afroitaliana. Con Lafanu ho fatto un viaggio al contrario. Raccontare di una donna afroamericana che abbandona gli Stati Uniti per inseguire la sua passione in Italia, a Roma. Ma scopre anche in Italia la presenza di schiavi africani incatenati in tante opere d'arte. Il persomaggio di Lafanua è anche un'occasione per riflettere su un'Italia che fa ancora fatica a fare i conti con il suo passato coloniale che tanto ha a che fare con la realtà attuale dove assistiamo al crescere di xenofobia e razzismo.

Comments

i-Italy

Facebook

Google+

Select one to show comments and join the conversation