Per i nostri figli. Parola d’ordine: dual-program
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Si guarda intorno e lo ammette. Lucia Pasqualini, vice console a New York, è stupita di tanta partecipazione. Sono state allestite due sale, uno schermo è stato collegato ad una telecamera, per consentire al pubblico, accorso numeroso, di partecipare. All’incontro, con ben tre panel ricchi di relatori, hanno aderito più di duecento ospiti. Tanti per il palazzetto su Park Avenue dove ha sede il Consolato Generale.
“Tutto è iniziato con un articolo del New York Times che parlava dei programmi di studio bilingue in Francese nelle scuole pubbliche di New York. Mi sono chiesta: come fanno i francesi ad avere ben otto programmi del genere mentre noi ne possediamo solo uno?” racconta ad i-Italy TV subito Lucia Pasqualini, Viceconsole d’Italia a New York.
Bisognava trovare una soluzione, le comunità italiane e italo americane rappresentano un notevole spicchio della Grande Mela, hanno bisogno anche loro di questa opportunità . “Ho continuato a pensare giorni e giorni al progetto francese, fin quando un paio di settimane dopo, tre genitori italiani mi hanno chiesto un appuntamento per parlare di un programma bilingue. Era un segno del destino” continua il Viceconsole.
L’impegno congiunto del Consolato Italiano, dello IACE (The Italian American Committee on Education) con il suo direttore esecutivo Ilaria Costa, e dei tre genitori promotori di questa iniziativa, ha portato quindi all’incontro svoltosi lo scorso 3 Aprile presso il consolato Generale Italiano. E ora tutti lo dicono. Nessuno si sarebbe aspettato un così forte entusiasmo.
“E’ evidente, questo bisogno di mantenere la cultura e linguaggio rappresenta una necessitàfondamentale della comunità.” aggiunge Lucia Pasqualini. E certo l’affluenza all’evento è la prova di come sia sentita la necessità di preservare le proprie origini attraverso un metodo di insegnamento bilingue, di come sia qualcosa di intrinseco legato alla propria identità.
Fabrice Jaumont, responsabile della educazione dell'Ambasciata francese, istituzione che ha già avviato questo importante percorso, è presente all’evento. La sua testimonianza al nostro microfono è illuminante e, in un certo senso, lungimirante. “E’ stata una rivoluzione per la Francia a New York ed è cominciata 6 anni fa. Erano solo ventiquattro bambini a Carroll Garden in Brooklyn e non sapevavo dove saremmo arrivati. C’è stato il lavoro di tutta la comunità. Da li siamo poi andati in altre scuole ed oggi abbiamo circa trecento studenti. E oggi possono imparare la lingua anche i 'non francesi'. Questo è anche un grande mezzo per diffondere la nostra cultura ed il nostro Paese a New York” . E noi, non abbiamo nessun dubbio, molti americani, o cittadini di altri Paesi, amerebbero studiare l’italiano come seconda lingua. Prova è l’esperienza che porta avanti lo stesso IACE nelle scuole americane. I corsi d’italiano sono frequentati da moltissimi bambini che non sono di origine italiana.
Intervistiamo i tre genitori che per primi si sono rivolti ad Ilaria Costa per sensibilizzare lo IACE alla creazione di programmi di italiano.
“Nonostante abbia lasciato la Puglia, la mia terra d’origine, a soli 18 anni per andare a studiare al Nord, mantengo sempre forti dentro di me le mie radici e vorrei che anche mio figlio crescesse come un individuo fortemente radicato nella nostra cultura, anche ora che abitiamo in America. La lingua è il mezzo attraverso cui riusciremo a passare ai nostri figli tutto questo. Per questo sono qui” racconta la mamma Piera Bonerba ad I-Italy Tv.
“Un aspetto che io trovo molto interessante è che mentre in Europa lo studiare più di una lingua è ormai considerato necessario, negli Stati Uniti non è sempre così. Il fatto che un bambino sia quindi capace di parlare più di una lingua non può che essere un valore aggiunto in questo Paese” dice il papà Marcello Lucchetta.
“Mio figlio molto presto parlerà un inglese migliore del mio, ma non so se parlerà mai un italiano buono quanto il mio. Lo studio della lingua non riguarda solo il parlare , studiare una lingua, significa entrare in contatto con la cultura di quella lingua e questo è un aspetto importantissimo” sostiene Martina Ferrari, l’altro genitore italiano.
I tre genitori, insieme ad altri, stanno raccogliendo nel loro blog richieste ed informazioni per individuare le scuole e tutte le richieste. Per il 20 aprile è prevista una prima pubblicazione dei risultati di questo lavoro.
La forte necessità di poter mantenere forti le radici con le terre d’origine attraverso i propri figli, nonostante un oceano separi, è ben conosciuta anche da Claudia Aguirre, CEO dell'Office of English Language all'interno del Department of Education .
“Pensiamo sia molto importante per gli studenti stranieri portare il loro bagaglio culturale da casa e condividerlo con gli altri. Più del 40% degli studenti di New York parlano una lingua diversa da quella inglese con le loro famiglie e questa è una grande opportunità che noi vogliamo sfruttare. In città abbiamo circa quattrocento programmi bilingue già attivati. Soprattutto in spagnolo e cinese. “
“La cultura della lingua Italiana è parte di un’eredità molto importante da preservare in tutti i modi possibili, in particolare fra i giovani. Questo programma bilingue è un ottimo veicolo per la realizzazione di questo obiettivo” ci dice dopo Jack Spatola, preside del PS 172 di Brooklyn e presidente della FIAO (Federation of Italian-American Organizations). Sarà lui, fin dall’inzio molto disponibile ed entusiasta, a coordinare questo impegno.
Si tratta di un’opportunità unica anche dal punto di vista interculturale. Un bambino bilingue sarà infatti presto un adulto molto più aperto al rispetto e alla conoscenza delle altre culture e a tutti quei processi di multiculturalità che viviamo soprattutto in una città come New York, puzzle composto da tasselli delle più diverse etnie.
Un programma bilingue è un’ottima opportunità non solo per i bambini di famiglie italiane ma anche per i figli di famiglie americane, in quanto mezzo per acquisire due culture nell’approcciare il mondo sempre più globale.
Il console Generale, Natalia Quintavalle, si dice consapevole delle difficoltà. C'è infatti un complesso iter burocratico ed organizzativo da attivare per creare classi bilingue, partendo dal segmento kindergarden delle scuole pubbliche americane.
"Il successo di questa iniziativa passa attraverso il coinvolgimento e l'interesse della comunità italiana ed italo-americana senza la quale e' molto difficile intraprendere questo nuovo ed importante passo. Se riusciremo a concretizzare questo progetto, le famiglie di origine italiana potranno continuare a mantenere le proprie radici linguistiche e culturali nell'ambito del sistema educativo americano, offrendo una possibilità in più ai propri figli.” Era scritto nell’invito diffuso dal Consolato per l’evento.
La grande risposta e l’entusiasmo a cui abbiamo assistito è il primo riscontro veramente incoraggiante.
i-Italy
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