Articles by: Francesca Pili

  • Gourmet

    Tipicità Festival Arriva a New York

    I ritardatari sono rimasti fuori per strada, ma hanno comunque potuto gustare le prelibatezze preparate ad hoc per l'occasione. Numerosi erano infatti i presenti al Lucciola-Ristorante Italiano per il Cooking Talk Show “Vivere all’italiana – Taste Marche Experience”. E' stato un vero e proprio successo di pubblico.

    Al timone della serata nomi d’eccezione: Marco Ardemagni, conduttore televisivo e radiofonico, autore di Caterpillar per Rai Radio2, e Michele Casadei Massari, fondatore del Piccolo Cafe ed Executive Chef del ristorante ospite.

    L’evento era inserito all’interno del Festival Tipicità: nato nel 1993 ad opera di istituzioni pubbliche e operatori privati, è diventato la vetrina delle eccellenze marchigiane, legando agricoltura, turismo, cultura ed esclusività del territorio in una grande festa del buongusto. L’intento è quello di promuovere le identità regionali che rappresentano il vivere italiano in giro per il mondo, in maniera aperta al confronto, e nel tempo è divenuto un laboratorio di promozione e un hub di marketing territoriale. E quest’anno, insieme alla Camera di Commercio e al Comune di Fermo (antica colonia romana, poi signora di castelli e città di studi, oggi capoluogo di importanti distretti produttivi), hanno portato per la prima volta a New York la Marche Experience.

    E quale migliore location di Lucciola, locale aperto da poco più di un anno che unisce la passione per il buon cibo a quella per il cinema: il locale si ispira infatti al film “Festa di laurea” di Pupi Avati.

    Non poteva esserci posto più adatto per far incontrare eccellenze non solo mangerecce: mentre Chef Massari preparava per gli ospiti specialità marchigiane contaminate dal tocco dei prodotti locali statunitensi (menzione speciale per il maccheroncino fumè col salted pork), Ardemagni intervistava e raccontava le storie dei tanti produttori accorsi per l’occasione, come l'azienda vitivinicola Poderi dei Colli, sponsor della serata insieme al pastificio Spinosi, Atalia per il cioccolato e Paoletti per le bibite.

    Accanto alle aziende specializzate nella produzione enogastronomica abbiamo potuto conoscere i fondatori di diverse realtà imprenditoriali legate alla pelletteria, alla gioielleria e al cartone; mondi che si sono uniti anche nell’allestimento del locale per la serata (nelle foto si possono notare le forniture per ristorante donate dalo scatolificio Di Battista, le calzature Paul Silence e capi d'abbigliamento del marchio Lardini).

    Per concludere, l'Executive Chef Michele Massari e il Pastry Chef Marco Massi hanno appositamente creato per la serata una rivisitazione della Napoleon Cake, realizzata con una cialdina fragrante texture cono gelato, farcita con crema inglese alla vaniglia montata con tecnologia iSi e amarene Fabbri, chiuso con spolverata di zucchero roccia nero.

    Una buonanotte che fa lasciare il ristorante con l’augurio di rivedersi presto. 

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    Lucciola

     621 Amsterdam Ave, New York, NY 10024

  • Vincenzo Boccia, Presidente di Confindustria, e Letizia Airos, Editor in Chief I-Italy
    Fatti e Storie

    Una nuova narrativa per l'industria italiana

    “Molti diventano personaggi perché non sanno essere persone”: inizia così Letizia Airos, citando Gesualdo Bufalino.

     

    La Editor in Chief di I-Italy ci fa immediatamente comprendere il focus della sua introduzione, e più in generale dell’intera conversazione, guidata dalla parola chiave “racconto”: “Vincenzo Boccia è una persona, in un momento, come quello che stiamo vivendo, pieno di personaggi; e se lo è, molto dipende dalla storia di suo padre, e dalla regione in cui ha vissuto, la Campania”.

     

    Il Presidente di Confindustria è infatti il figlio di Orazio Boccia, un uomo che impersonifica perfettamente il self-made man: orfano a soli undici anni è rinchiuso in un terribile orfanotrofio salernitano chiamato ‘il Serraglio’. Dopo aver vissuto da “scugnizzo” nei vicoli cittadini ed aver combattuto la fame, è stato uno dei pionieri dell’imprenditoria italiana delle arti grafiche nel secondo dopoguerra. La sua caparbietà e il suo intuito l’hanno portato a mettere in piedi l’attuale “Arti Grafiche Boccia”, di cui Vincenzo Boccia è AD.

     

    Con i suoi 160 dipendenti e un fatturato di oltre 40 milioni di euro l’anno, questa azienda di famiglia operante da più di 50 anni è stata definita dall’ex Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano “l’immagine di un Mezzogiorno capace di far emergere e valorizzare le sue migliori energie, concorrendo con il proprio fattivo apporto allo sviluppo dell’Italia intera”.

     

    Vincenzo Boccia ha dunque vissuto la sua giovinezza nei capannoni della tipografia del padre, respirando l’aria delle rotative, incontrando i collaboratori e gli intellettuali che gravitavano attorno all’azienda di cui diverrà direttore nel 1993.

     

    “Nelle parole di Letizia la mia memoria è andata a un pezzo della mia storia”, esordisce Boccia prendendo parola; “ognuno di noi è i libri che ha letto, le persone che ha visto, i maestri di vita e di scuola che ha incontrato, le persone che ha amato”, prosegue, “e ricordo quando la domenica mattina mio padre andava a raccontare di quella piccola fabbrica che all’epoca avevamo, descrivendo i suoi sogni, gli investimenti realizzati, e soprattutto ricordo che io e mio fratello giravamo con la bici intorno a quello stabilimento; finché a un certo punto, come per magia, ci siamo ritrovati dentro”.

     

    Il Presidente di Confindustria spiega al pubblico della Casa Italiana Zerilli Marimò, costituito anche da molti giovani, come all’epoca la tipografia fosse un settore molto romantico.

     

    Si sofferma sul punto per cui, essendo priva della tecnologia odierna, la forma lavorativa prevedesse che i clienti  visitassero l’azienda: ”il mondo ti entrava in casa”. Boccia ricorda come da adolescente, seduto dall’altro lato della scrivania, osservasse scrittori, poeti e politici prendere un caffè col padre Orazio e raccontarsi, e rimarca di dovere molto a questo mondo.

     

    E l’esperienza che il Presidente ha fatto sul campo, fin da giovanissimo, è più che mai evidente nella chiarezza con cui riesce a spiegare, durante l’incontro-lezione, temi difficili con parole semplici, capaci di essere chiarificatrici anche per chi, come chi scrive, non è esattamente avvezzo alla materia economica.

     

    Nel parlare della rivoluzione industriale, che dice  attualmente in atto nelle aziende italiane, guidata ovviamente dalla capacità di stare al passo con l’innovazione tecnologica, il Presidente si sofferma su un dato importante: l’Italia è uno dei pochi paesi al mondo ad avere una percezione degli italiani stessi molto peggiore di quella che invece ha il resto del mondo.

     

    È un dato rilevante soprattutto se collegato al fatto che l’Italia è la seconda potenza industriale d’Europa dopo la Germania, nonostante il pesante deficit di competitività che ha rispetto a quest’ultima (tassazione, spread, infrastrutture).

     

    L’obiettivo, per Boccia, è quello di passare dalla percezione alla realtà.

    Chiarisce che in questo passaggio l’intento di Confindustria è quello di evolversi nel suo ruolo di corpo intermedio dello Stato; spiega che dietro il pensiero economico di Confindustria c’è un’idea di società, intesa come inclusiva, aperta, con le persone al centro delle società e le imprese al centro dell’economia, che c’è un’idea di un Paese che non deve essere considerato periferia d’Europa, ma centrale, vista la sua posizione tra Europa e Mediterraneo.

     

    Il Presidente sviluppa il suo discorso raccontando come Confindustria stia dunque cercando di definire una visione degli imprenditori italiani che non si chiedono più, e solo, come sarà la propria impresa tra qualche anno, ma come sarà il proprio Paese; del fatto che voglia essere rappresentante di interessi e non solo più difensore (come da ruolo storico di “sindacato”), nel senso di essere un ponte tra gli interessi delle imprese e quelli del Paese, in una visione europea, di cui il Presidente ricorda i 3 fondamentali: pace, protezione e prosperità.

     

    Alla fine del suo intervento Vincenzo Boccia definisce a chiare lettere l’obiettivo della Confindustria diretta da lui: diventare un attore sociale nella sfida tutta italiana di puntare alla crescita, delle imprese e della politica economica, come fine per raggiungere l’appianamento delle diseguaglianze sociali. E ricordando la annosa questione tra Governi e corpi intermedi, conclude citando Goethe: ”l’importante non è andare d’accordo, ma andare nella stessa direzione”.

     

    Dopo gli svariati input forniti dal discorso del Presidente di Confindustria, sorge spontanea la domanda: l’Italia, quindi, che futuro ha?

    Boccia non ha dubbi: l’obiettivo è riportare al centro del discorso economico l’occupazione, soprattutto quella giovanile, creare posti piuttosto che sussidi. E per fare questo la politica economica deve produrre le condizioni di base che favoriscano il cambiamento, che è inevitabilmente dato dall’innovazione, nelle industrie come nella vita.

    Secondo il Presidente, se il cambiamento non è frutto di qualcosa di veramente nuovo allora non raggiungeremo mai un risultato rivoluzionario, ma ci limiteremo a realizzare un prodotto ben fatto, senza aver fatto la differenza.

     

    La linea di Confindustria è chiara; la speranza è che si possa trovare un cammino comune con il Governo.

     

     

     

     

  • Arte e Cultura

    “Being Leonardo da Vinci”: intervista a Massimiliano Finazzer Flory

    Prima a teatro, poi il cortometraggio, adesso la versione filmica; ci dica: com’è nato il progetto?

    È nato per la passione di culture diverse. Leonardo è l’architetto che unisce passioni, pensieri e parole, e quindi ho voluto partecipare a questa costruzione…insieme a Leonardo!

    Lo spettacolo nasce all’interno di una mia ricerca iniziata negli anni ‘90 a Roma, al Teatro Eliseo, dove mettevo insieme i migliori filosofi e i migliori scienziati per domandarci cosa significasse conoscenza, e ho scelto come logo l’uomo di Vitruvio; è una ricerca che ancora mi inquieta, mi accompagna, e che ha trovato ad oggi sulla strada centinaia di repliche dello spettacolo e un progetto composto da due azioni: un cortometraggio, di 23 minuti, per i festival e per i sistemi educativi, come musei, università, college, workshop, e il film, che uscirà in primavera, di 75 minuti circa, previsto per le sale cinematografiche e successivamente per la televisione.

     

    Ma come dicevamo, tutto è partito dal teatro...

    Si, è un cinema che viene dal teatro, e questo è un ulteriore valore, perché unire l’interpretazione teatrale con il 4K (standard per la risoluzione della televisione e del cinema digitale, nda), utilizzare una drammaturgia di pensiero, coniugare un drone e portarlo dentro una cascata con le parole di Leonardo, questo mix, è la forza del film. Abbiamo mescolato gli strumenti tecnologici del cinema digitale più avanzato con un background fortemente di teatro europeo novecentesco.

     

    Come procede la realizzazione del film?

    Siamo a 60 minuti di girato e stiamo per completare; una parte verrà girata qui a New York per 2 giorni, dove andremo a prendere scorci naturalistici di Central Park, entreremo nella storica libreria Rizzoli, dopodiché ci concentreremo sui ponti e i percorsi di acqua, che sono temi che a Leonardo sarebbero piaciuti, come il concetto di verticalità. Leonardo di New York si sarebbe sicuramente innamorato di una cosa: the stone, la pietra. Perché senza la pietra, senza la sua riflessione sulla geologia, la città non sarebbe cresciuta.

    Una volta tornati in Italia finiremo di girare due parti, a Firenze e Urbino.

     

    Quali sono le altre location?

    Il film ha due peculiarità: la lingua di Leonardo (il film è in lingua originale rinascimentale, nda) e il fatto di aver girato nei luoghi dove è nato, è vissuto, ha lavorato ed è morto. Ecco perché ho fatto il film: perché solo con il cinema possiamo far tornare in vita chi non c’è più. Quindi è stato girato a Vinci, Milano, Amboise, Vigevano, Vaprio d’Adda, Clos Lucé.

     

    Come pensa che Leonardo sia rappresentato nell’immaginario collettivo americano?

    Leonardo in America è il genio, e il genio piace al popolo. Questa è infatti una delle scene finali del film. Leonardo nel film non appare all’uomo di potere, ma in un sotterraneo di un castello deserto, dove di fronte ha il popolo, la gente. A loro fa una profezia: che gli uomini siano uniti dalla comunicazione. Leonardo è il più potente social network che abbiamo, li ha inventati. Perché ha messo insieme due elementi: l’identità dell’arte, l’immagine, di cui noi oggi viviamo, ma insieme ci ha offerto il metodo, perché è stato uomo di scienza. Oggi l’economia ha in mano un metodo, che è quello del digitale. Il digitale è un metodo di comunicare, non è un fine. Leonardo ha messo insieme un metodo della scienza con l’immagine dell’arte. Ecco perché dopo secoli continua ad essere un’icona. Questo è l’aspetto bello, l’aspetto brutto è che viene spesso percepito come un logo di marketing, come un brand, viene semplificato.

     

    Quindi il tentativo è quello di riportarlo in profondità?

    Non vi è dubbio. Leonardo chiede pensiero, chiede studio, chiede formazione. Non è un adesivo che possa essere messo sopra ogni cosa che possa funzionare genialmente, quella è bassa pubblicità. Noi cerchiamo un’altra via.

     

    In questo film infatti gli dà voce con l’intervista impossibile.

    Esatto. Il film parte con due giornalisti che si ritrovano entrambi a scrivere un pezzo per la ricorrenza dei 500 anni dalla morte di Leonardo. È quindi un omaggio anche ai giornalisti, a quel giornalismo che continua a fare domande dirette, che si nutre di curiosità. I due giornalisti sono uno molto giovane, a inizio carriera, tecnologico, che farebbe l’intervista anche a distanza. L’altro invece, a fine carriera, ancora con carta e matita, che chiede di andare a intervistare Leonardo nella sua casa. Entrambi fanno delle domande attraverso una sana ignoranza, ossia quelle senza pregiudizio, che vanno direttamente a volere una risposta.

     

    Quanto è importante il rapporto con New York?

    Leonardo amava l’idea di una città ideale, amava l’idea che la città fosse il risultato di energia e funzionalità.

     

    E cosa intendiamo per città ideale nell’immaginario di Leonardo?

    Una città dove uomini e merci hanno due vite separate, dove gli uomini hanno una qualità di vita e il movimento delle merci, del mercato, è parallelo e non sovrapposto. Ludovico Sforza non gli permise di realizzare questo suo progetto di città a doppio livello (città sotterranea dove si muovessero le merci, città superiore dove si muovessero gli uomini), e forse neanche New York ha realizzato questo ideale. Però c’è una spinta degli uomini a volere questo modello, a cercare di stare assieme con creatività. Questa è la prima dote che Leonardo ci ricorda: tenere insieme, con la creatività, la capacità del sapere con il saper fare, quindi anche una capacità di problem solving, e New York è una città che sicuramente si pone questo problema. Tra i tanti ruoli di Leonardo che metto nel film, pongo per l’appunto prima di tutto quello di eco-designer. È stato il primo nella storia a riflettere sulle forme della città e del vivere umano insieme alla natura, mai contro. Ci chiede infatti di essere inventori e interpreti di natura e di uomini, è la prima battuta di Leonardo nel mio film. Siamo sempre più razionali ma stiamo perdendo l’istinto animale. Seguirlo vorrebbe dire tornare a camminare verso la natura per cercare di ispirarci. Questa è una via che nel film è abbastanza presente: i flashback di Leonardo durante l’intervista nelle scene di interni, ce lo riportano di fronte a una cascata, a un tramonto, a un sentiero, in spazi aperti e naturali.

     

    Procede dunque per immagini dicotomiche?

    Dicotomiche e tricotomiche: il film inizia che Leonardo è alla fine della sua vita in Francia, poi con un flashback lo rivediamo adulto in Lombardia e bambino in Toscana. Nel corto sono due dimensioni, il bambino e l’anziano; nel film abbiamo tre Leonardo: il filosofo Leonardo alla fine della vita, che evoca il Leonardo artista, tecnico, che senza il bambino Leonardo non sarebbe esistito. Dovremmo tornare a giocare coi bambini, giocare come esercizio a capire.

     

    Quali sono i prossimi appuntamenti?

    Parigi, tra il 10 e il 20 novembre e Milano tra il 20 e il 30 Novembre. Dopo, ci piacerebbe cominciare un percorso educational nella rete delle università e dei festival di tutti gli Stati Uniti. Seguendo una via che ci porterà a concludere questo percorso il 18 ottobre 2019, dove il film sarà al centro di un workshop internazionale alla UCLA a Los Angeles. L’obiettivo è il mercato americano.

     
  • Massimiliano Finazzer Flory e Jacopo Rampini
    Arte e Cultura

    "Being Leonardo da Vinci" alla Morgan Library & Museum di New York

    Alla presenza di personalità del mondo dello spettacolo e con la partecipazione del Console italiano Francesco Genuardi, la proiezione è stata l’evento centrale del “Come to Leonardo, Come to Milan”, iniziativa promossa dalla Fondazione Stelline, di cui era presente la Presidente PierCarla Delpiano, in collaborazione con Regione Lombardia e Comune di Milano, rappresentati dall’Assessore alla Cultura Filippo del Corno, unitamente al MIBAC. 

    Nei suoi 23 minuti il cortometraggio riesce ad esprimere pienamente l’anima che sta dietro al lavoro di Flory, ossia quella necessità di approfondire la figura di da Vinci sotto le diverse sfaccettature che la compongono.

    Perché, come Leonardo disse e come Flory riporta alla conclusione della presentazione, “la verità sola fu figliola del tempo”.

    Il corto inizia a New York: un giovane giornalista (Jacopo Rampini), alle prese col suo primo articolo importante, si interroga sull’argomento da affrontare alle porte della sede del The New York Times.

    Subito dopo ci spostiamo a Milano, dove un giornalista affermato del Corriere della Sera si chiede invece quale sarebbe il pezzo ideale per concludere la sua carriera.

    Flory gioca abilmente per tutta la pellicola con questa narrazione per contrasto: negli spazi, innanzitutto, passando da quelli chiusi come la Cripta di San Sepolcro (Milano) alla splendida immagine delle cascate dell’Acquafraggia (Piuro); ma la più evidente è sicuramente quella dei due giornalisti in giacca e cravatta che intervistano un Leonardo giustamente vestito in costume cinquecentesco che si esprime in lingua rinascimentale.

    Questa apparente opposizione invero si coniuga proprio nello scambio curioso e aperto che avviene tra i personaggi, che trattano di filosofia, anatomia, astronomia, architettura, nel tentativo di raccontare la ricerca della conoscenza che ha accompagnato Leonardo per tutta la sua vita e che anima i giornalisti ai giorni nostri, fino a portarli a Clos Lucé per incontrare il Genio.

    E restando sulla linea dell’impossibile, il film mostra anche un Leonardo che tiene in mano il suo unico autografo originale, custodito presso gli Archivi di Stato.

    Come il regista stesso ci ha spiegato, è funzionale l’immagine del Leonardo bambino, nell’intento di suggerire quel ricongiungimento alla innata curiosità intrinseca dello spirito infantile che tutti noi dovremmo ricercare quotidianamente.

    L’attesa adesso è per la primavera del 2019, data prevista per l’uscita del lungometraggio realizzato in collaborazione con RAI Cinema.

  • Nel corso della presentazione da Eataly NYC
    Arte e Cultura

    Arriva a New York il Napoli Pizza Village

    1.047.000: questo è il numero dei visitatori che hanno partecipato all’ottava edizione del Napoli Pizza Village, svoltasi quest’estate dall’1 al 10 giugno nel lungomare di Napoli. Un villaggio di 30.000 mq, con all’interno ben 50 pizzerie per celebrare il cibo simbolo della città: la pizza. Il tutto contornato dalla presenza di grandi artisti italiani quali Fabrizio Moro, Mario Biondi e Lo Stato Sociale.

    È con questo enorme successo alle spalle che i fondatori Alessandro Marinacci e Claudio Sebillo portano a New York il Pizza Village.

    “Siamo pronti ad esportare, ad internazionalizzare il nostro format, ma soprattutto a far conoscere al mondo la pizza napoletana, i valori e la cultura che ci sono dietro, e soprattutto l’arte dei pizzaioli napoletani”; così Alessandro Marinacci ci descrive l’approccio alla nuova avventura negli Stati Uniti. “Napoli è la capitale della pizza, New York è la capitale del mondo; questo percorso non poteva che partire da qui”, aggiunge.

    E precisamente partirà “non a caso nel luogo simbolo degli italiani, e soprattutto dei napoletani in America, che oggi rappresenta il cuore pulsante della comunità italiana che vive e lavora qui” dice Marinacci: nella cornice del Belmont Business Improvement District, nella Little Italy del Bronx,  il 6 e il 7 ottobre, rispettivamente dalle 12 alle 18 e dalle 12 alle 16, trenta forni si accenderanno dando inizio al New York Pizza Village, dove la tradizione napoletana, rappresentata dai Maestri Pizzaioli provenienti dalle più rinomate pizzerie di Napoli (alcuni nomi: Sorbillo, Concettina ai Tre Santi, Trianon, Brandi, Vesi, Porzio), si incontrerà con la pizza New York Style e quella Chicago Style.

    E non ci sarebbe pizza napoletana senza farina napoletana: partner dell’evento è infatti il Mulino Caputo, che da 17 anni premia con il Trofeo Caputo il vincitore del Campionato Mondiale del Pizzaiuolo (l’ultimo è stato Antonio Mezzero). Antimo Caputo, CEO dell’azienda, ci spiega: “Il primo punto è la conoscenza delle tecniche, per far comprendere al consumatore straniero che le ricette italiane sono molto semplici. La pizza, di base, ha 4 ingredienti: acqua, sale, farina e lievito. La filosofia che vogliamo trasmettere è che questi 4 ingredienti devono essere quelli giusti. La farina nella pizza ha un ruolo profondo, ed è espressione di un territorio, come è quello italiano, che richiede naturalezza, semplicità, bontà degli ingredienti e una grande preparazione. Spiegando questo riusciamo a far comprendere la filosofia del produrre italiano”. Caputo non manca di mettere l‘accento su uno degli aspetti chiave dell’evento: “È una grandissima occasione per gli ospiti americani, che potranno provare in un unico posto tutti gli stili differenti”.

    Ma non si scherza ovviamente neanche sulla salsa di pomodoro, rappresentata dalla Ciao Pomodori, attiva sin dal 1979, il cui CEO Lino Cutolo, cresciuto nell’Agro nocerino-sarnese, ha sottolineato: “Gli italiani sono molto conservatori per quel che riguarda la produzione del cibo. Questa è l’occasione per mostrare l’esperienza di tante persone”.

    Simone Falco, CEO di Rossopomodoro USA, fa notare: “Ciò che apprezzo di più di questa nuova generazione di pizzaioli è che, rispetto alla precedente, è più aperta alla contaminazione. Questa è sempre stata la chiave per lo sviluppo dei prodotti e dei paesi”.

    È dunque nell’ottica della celebrazione ma anche del confronto che il Pizza Village sbarca per la prima volta a New York.

    Un appuntamento con il gusto da non perdere.

    Dunque tutti nello storico quartiere italiano del Bronx per il weekend del 6 e 8 ottobre! E se non fate in tempo, preparatevi per il prossimo anno
     
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    NEW YORK
    PIZZA FESTIVAL
    OCTOBER 6-7, 2018
    Crescent Avenue | Bronx, NY
    Saturday 12PM – 6PM
    Sunday 12PM – 4PM

     

  • Lidia Bastianich, Chef Bottura e staff
    Gourmet

    Identità Golose di piatto in piatto.

    Un evento speciale, quello che si è svolto la sera del 3 ottobre all’Eataly Flatiron di New York City grazie ad Identità Golose.
    Speciale per chi conosce le nuove identità della cucina italiana ma soprattutto per chi, come gli americani, vuole saperne di più.

    Gli ospiti hanno avuto l’occasione di assaggiare infatti, in una sola cena, i piatti preparati dal parterre di chef più gettonato del momento.

    Ad aprire il lungo banchetto non poteva che essere Massimo Bottura, chef e proprietario dell’Osteria Francescana di Modena, con il quale non solo detiene tre stelle Michelin, ma si è anche classificato per ben due volte, nel 2016 e nel 2018, come primo ristorante nella lista dei The World's 50 Best Restaurants, ottenendo con tale riconoscimento anche un altro primato: quello di unico ristorante italiano ad esserselo aggiudicato.

    Introdotto da Lidia Bastianich, famosa chef e star televisiva americana, accoglie i commensali con il suo risotto tra l'anatra all'arancia e l'anatra alla pechinese, accompagnato da un rosé Ferrari. Generoso e affabile nelle spiegazioni al suo pubblico, non si sottrae dallo scattare una foto singolarmente con tutti i partecipanti.  Elogia e presenta a tutti il suo staff con cui prepara e impiatta decine di risotti.

    Vederli lavorare è davvero una gioia per gli occhi, e l’armonia con cui i risotti  vengono assemblati fa pensare alla sincerità dell’orgoglio che lo chef nutre nei confronti della propria brigata, portata appositamente da Modena per l’occasione.

    È poi la volta di Virgilio Martinez: chef peruviano titolare del Central a Lima, propone un'anatra affumicata in escabeche, con sorpresa di formaggio, ricci e chips di oca del Perù (un tubero che cresce nelle Ande), accompagnato da un calice di Ferrari Brut e dalla birra ambrata del Birrificio del Borgo. Ambasciatore della cucina peruviana nel mondo, non poteva che sorprendere con accostamenti che vanno dalla terra al mare, fedele ai suoi anni di ricerca e studio dei prodotti tipici del suo territorio.

    Per i primi (se così possiamo considerare la pizza!) si torna a giocare in casa tutta italiana: il compito spetta a Carlo Cracco e Franco Pepe.

    Cracco, che ha recentemente trasferito l'omonimo ristorante da via Victor Hugo alla Galleria Vittorio Emanuele II a Milano, propone un fusillone con acetosella, sgombro affumicato e aglio nero, in abbinamento a un Ferrari riserva Lunelli Doc del 2006 e la Birra del Borgo Duchessa.

    Pepe, titolare del Pepe in Grani a Caiazzo, che rivendica il ruolo di artigiano e panificatore, delizia il palato con la sua pizza Grana, Pepe e Fantasia: un trionfo di formaggi (fonduta di Grana Padano DOP stagionato 12 mesi, scamorza affumicata, pecorino romano sul crostone e chips di Grana Padano DOP stagionato 24 mesi) unito alla pancetta affumicata, al tuorlo d’uovo pastorizzato, al pepe e allo zest di lime, che insieme alla base dall’impasto arioso e soffice, ha guadagnato diversi “amazing” sul fronte statunitense e il deciso plauso dei connazionali. Il tutto accompagnato da un calice di Ferrari Perlé Trentodoc del 2011 e uno della Birra del Borgo LISA. Era affascinante osservarlo lavorare insieme agli altri pizzaioli nella cornice del forno di Rosso Pomodoro, ultimando una a una tutte le pizze appena sfornate.

    Si passa al secondo, da consumare dentro il ristorante Manzo di Eataly, dedicato, appunto, alla carne. Il momento è stato affidato alle mani di Francesco Mazzei; nato in Calabria, si è ormai stabilito a Londra, città che ha conquistato prima col suo Sartoria, e in cui ha poi bissato il successo con Fiume. Da buon calabrese non poteva far mancare nel suo piatto la ‘nduja, utilizzata magistralmente per impreziosire la guancia di vitello glassata, con cavolo nero e zenzero. Assolutamente eccezionale. Ottimo l’accostamento col Sagrantino di Montefalco del 2009 delle Tenute Lunelli Carapace e con la ReAle Extra del Birrificio del Borgo. Nota curiosa: lo chef non ha sfortunatamente potuto presenziare a causa di un disguido nel rilascio del permesso di soggiorno in America  per un caso di omonimia.

    Infine, il coronamento della serata: è Cristina Bowerman ad occuparsi della dolce fine della cena.

    Si fa fatica a trovare le parole per descrivere questa chef, ma solo per la sensazione che nessuna riesca effettivamente a rappresentarla appieno. Sempre alla ricerca di novità, in una costante crescita professionale nonostante l’affermazione già raggiunta con la stella Michelin ottenuta con il Glass Hostaria di Trastevere, coi suoi Romeo (Chef & Baker), Giulietta, Frigo, può a pieno diritto essere appellata come la regina contemporanea di Roma. E la commistione tra conoscenza e curiosità trova perfetta realizzazione nel dessert a base di gelato al Baileys, gelatina di espresso, latte condensato e mandorle salate. Una conclusione che non poteva essere migliore, insieme al calice di Ferrari Brut NV Trentodoc e alla Lost Barrel del Birrificio del Borgo.

    Gli ospiti, dopo questa eccezionale cena itinerante, con la quale hanno unito al piacere del palato quello di godere di diverse location all’interno dell’Eataly Flatiron, non possono che tornare a casa soddisfatti.

    L’appuntamento sarà per l’anno prossimo.

     

  • Art & Culture

    Italy Chooses the Movie that Goes to the Oscar: Is “Dogman” by Matteo Garrone.

    “I thank the Commission for chose Dogman, giving us this wonderful opportunity that we are really proud. The merit also goes to the humanity of Marcello Fonte, to the interpretation of Edoardo Pesce and to the passion that everyone of us put in this project. We know that the designation is only the first step and the street ahead is long. But we are happy to start this new journey”.

     

    With these words, Matteo Garrone welcomed the choice of Anica (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediali), to submit his movie to the evaluation of the Academy’s members.

     

    A further recognition that came after the victory at the Cannes Festival of the award for Best Actor assigned to the protagonist Marcello Fonte. Garrone said of Fonte: “His sweetness and his ancient face, that seems come out from an Italy that is disappearing, it was crucial to make me understand how to approach such a dark story, that for years has attracted me and reject together”.

     

    The plot in short - Marcello (played by Marcello Fonte) lives in the suburbs of Rome, where has a doggie wash. He lives for his shop and his daughter Alida. He is a man with a mild character, cocaine addict, that continuously suffers the harassment of Simone (Edoardo Pesce), a former boxer of the neighborhood. The escalation of the arrogance and abuses will bring Marcello to commit an efferate crime.

     

    The true story – 1988, Rome, Magliana district. Newspapers tell the story of “Er Canaro” (The Dogman) Pietro de Negri who killed his partner Giancarlo Ricci after a horrible torture. The details disclosed by the press shocked public opinion for their brutality and violence and many stories and rearrangements will be created about this bloody affair.

     

    Till this point, the two stories seem similar, but they aren't . Indeed, Garrone explained: "Those who expect to see splatter or violence scenes will be disappointed. My movie starts from an old true event, but then it moves forward”.

    Anica focused on Matteo Garrone for his powerful storytelling capacity and his ability to direct with a marked sensitivity and restore a human face to the stories. A journey through  psychological subjection, where the “villain” is not necessarily a monster, but first of all is a man who is looking for a redemption.

    Now the next appointment is for January 22nd, when the Academy will announce the nominee for the Oscar 2019.

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