Il 19 ottobre 1943 in un piccolo paesino dell’Appennino abruzzese arrivarono le SS. Arrivarono in forze sui camion, saltarono da quei camion “come grilli” e si misero a razziare uomini e cose. Una piccola bimba di 9 anni osservava con sgomento la scena mentre, insieme alla madre e alla sorella, fuggiva verso i campi. La guerra era arrivata, brutalmente, a Torricella Peligna, in provincia di Chieti e mentre quella bimba (mia madre) fuggiva, fuggivano anche gli uomini, il vero obbiettivo delle razzie. Tra questi un distinto signore di quarantacinque anni, socialista, ex collaboratore di Giacomo Matteotti a Roma e di Filippo Turati a Milano: l’avvocato Ettore Troilo.
Sfuggendo ai tedeschi lui e altri si diressero verso un paese già sotto il controllo alleato non lontano da Torricella: Casoli. In questo paese successero due cose che segnarono la nascita della formazione partigiana. Ettore Troilo dopo uno scontro verbale molto acceso con le autorità inglesi (forte, naturalmente, era la diffidenza anti-italiana) ottenne di poter impegnare dei volontari in operazioni antitedesche con materiale bellico fornito dagli Alleati. Poi a Casoli s’incontrarono Ettore e Domenico Troilo; i due non erano parenti ma il secondo, sottotenente della Regia Aeronautica fuggito da Venaria Reale (Torino) all’armistizio e rocambolescamente rifugiatosi nel suo paese d’origine in Abruzzo, Gessopalena (dove vide sua madre assassinata dai tedeschi in una delle tante stragi, quella di Sant’Agata di Gessopalena), aveva le conoscenze necessarie per organizzare una formazione militare.
Si venne così a creare il nucleo di quindici volontari che, approssimativamente equipaggiati, iniziarono a operare con azioni di ricognizione in un territorio da loro perfettamente conosciuto. Da parte inglese crebbe il riconoscimento verso questi uomini e un lungimirante ufficiale inglese, il maggiore Lionel Wigram (Sheffield, 1907 – Pizzoferrato, 3 febbraio 1944), s’impegnò in prima persona, fino a combattere e morire con loro, per lo sviluppo della “banda”. La storia della formazione è stata ottimamente ricostruita da vari testi. Mi preme sottolineare però alcune particolarità. La “Brigata Maiella” fu del tutto atipica nel panorama resistenziale.
Vestita con uniformi inglesi, portavano le mostrine e la bandiera tricolore (senza lo scudo sabaudo!), autonoma da un punto di vista operativo, era inquadrata nel II Corpo d’armata polacco del generale Anders; erano e si ritenevano dei militari (erano forniti di regolare tesserino di riconoscimento bilingue, quello di mio nonno di cui porto orgogliosamente il nome è il n. 852) però con una disciplina alquanto particolare dove il massimo della pena era l’allontanamento dalla possibilità di operare sul campo (cosa che non successe mai); vi si entrava e vi si usciva (anche questo non successe mai) liberamente, non c’erano commissari politici, la formazione era antifascista e repubblicana, ma anche i monarchici potevano aderirvi.
L’operatività militare, delegata a Domenico Troilo in virtù della sua esperienza, si dispiegò in una grande epopea che vide i “lupi della Maiella” (come li soprannominarono, con rispetto, i tedeschi) partire dalle montagne d’Abruzzo e risalire la penisola attraverso le Marche (combattendo a Cingoli, Pesaro, Montecarotto), la Toscana (scontrandosi con i tedeschi a Laterina) e l’Emilia-Romagna (battaglia di Brisighella), entrare (sostengono gli storici) per primi a Bologna e continuare verso Nord fino a congiungersi il 1° maggio 1945, superando le unità americane, con altre formazioni partigiane ad Asiago!
In tal modo la “Brigata Maiella” ha stabilito vari primati: unica formazione partigiana a combattere fuori dal proprio territorio d’origine, unica formazione partigiana inquadrata in un esercito regolare, mai nessun abbandono, prima formazione partigiana a cantare “Bella Ciao”. Partiti da Casoli in 15 (tra cui un gigante russo di origine siberiana) alla cerimonia di scioglimento a Brisighella (Bologna), il 15 luglio 1945 la formazione contava ben 1326 uomini con 55 morti, 19 prigionieri (di cui 3 uccisi), 151 feriti di cui 36 mutilati. La metà dei caduti erano contadini, gli altri studenti, commercianti, operai, ex militari, artigiani. Ma l’epopea “maiellina” non finì quel giorno a Brisighella. Ettore Troilo fu l’ultimo prefetto nominato a Milano dal CLN e rimosso, nonostante la strenua difesa che di lui fece Gian Carlo Pajetta, dal ministro degli Interni Scelba il 4 dicembre 1947.
E fu proprio Pajetta ad accostare nel 1990 la Brigata Maiella ai Mille di Garibaldi che tornavano ripercorrendone la strada ma dal sud a nord. Però Ettore Troilo aveva un altro dono particolarmente diffuso in Abruzzo: la testardaggine. Terminata la vicenda resistenziale si adoperò per venti anni a far ottenere ai suoi uomini quanto Umberto di Savoia, a cui nessuno dei suoi giurò fedeltà, sebbene non richiesto, aveva promesso: la Medaglia d’oro al valor militare. Si dovette attendere il 2 maggio 1965 quando l’allora ministro della Difesa, Giulio Andreotti, finalmente conferì l’onorificenza rendendo il “Gruppo Patrioti della Maiella”, l’unica formazione partigiana a fregiarsi di questo riconoscimento, per tacere delle onorificenze polacche “Virtuti militari” assegnate a singoli. Oggi due lapidi segnano idealmente la storia della formazione: una a Torricella Peligna ricorda il rastrellamento da cui ebbe origine il tutto, l’altra a Brisighella ricorda il giorno dello scioglimento; in mezzo, idealmente, vi è il sacrario dei caduti a Taranta Peligna (Chieti) visitato nel 2001 da quello che era stato un giovane ufficiale in fuga verso le linee britanniche e passato da Casoli, Carlo Azeglio Ciampi.
Un’ultima annotazione, ma fondamentale. I “maiellini” possedevano una visione dello scontro diametralmente opposta a quella nazista; la guerra non era fatta con odio, non si doveva odiare il nemico, lo si combatteva, strenuamente, ma non lo si odiava. C’è un episodio significativo. Si svolge sul torrente Sintria, vicino a Brisighella. C’è uno scontro con i tedeschi, un loro sottufficiale resta ferito e i suoi camerati non lo soccorrono perché nella terra di nessuno. Quattro partigiani lo vanno a salvare e uno di loro viene ucciso dai tedeschi. Penso che questo episodio renda ragione del modo di combattere della Brigata Maiella. Questo combattere senza odio ritorna nelle parole di Domenico Troilo (la cui madre, ricordo, era stata uccisa con una sventagliata di mitra in faccia). Allo storico che lo intervistava per scrivere un libro sulla formazione disse: “Che non sia una cosa eroica, perché noi non eravamo eroi” e in tempi in cui la parola eroe è talmente usata da diventare insignificante, questa ritrosia, orgoglio, assenza di retorica è una boccata d’aria pura come l’aria che si respira su quei monti dove tutto ebbe inizio.
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