Un delitto, un colpevole. Una gioventù bruciata, il mondo degli adulti il suo piromane. Sarà così? Non so quale sia l’Italia migliore o quella peggiore. Forse sarebbe meglio non etichettare nessuno. La verità è che siamo tutti sulla stessa barca, travolti dall’onda anomala di una crisi non solo economica che ha investito tutti e non solo il nostro Paese. Eppure bisogna sperare contro ogni speranza, bisogna inventarsela un’Italia migliore perché si possa con coraggio e più fiducia ritornare a parlare del domani. Il cambiamento in atto non è ancora consumato e i risvolti futuri non sono prevedibili.
L’ultimo sondaggio dell’Osservatorio di Demos-Coop, condotto nei giorni scorsi e proposto su Repubblica, racconta di un mondo giovanile allargato a dismisura, la vecchiaia è l’unica paura che coinvolge tutti e per questo, nel desiderio delle parole e nella follia di parabole che si raccontano per non darla vinta alla verità, “la gioventù dura fino a 52 anni”. Volesse il cielo! Ma poi capisci, leggendo tra le righe del sondaggio, che il racconto della società reale dice altro, comprendi che il desiderio faustiano di eterna gioventù naviga sul battello dell’adolescenza mai digerita, di quel tempo delle decisioni sospese che costringono, per irresponsabilità o per costrizione di stato, a lasciare ad altri le scelte decisive.
Se è vero che negli anni Novanta i giovani erano la generazione invisibile, la nostra è della gioventù cancellata, perché se tutti sono giovani allora gli adulti o i quasi vecchi hanno rubato irresponsabilmente lo spazio ai figli, hanno rubato speranza al loro futuro. Rimasti soli, i nostri ragazzi defraudati della loro stessa età, con nessun confronto con chi è opposto o diverso, con chi è adulto, vecchio o trapassato, leggono il reale come una fiction, se non addirittura come una comica. Questo è il tempo delle occasioni perse, delle caricature di se stessi, della morte dei significati profondi: si naviga a vista, difficile sapere ancora quale sarà l’approdo.
Sarà per questo che le fedi sbiadiscono, che la politica non interessa più a nessuno e che perfino la religione quando riesce a passare arriva già vecchia. Colpa dei partiti, colpa della Chiesa travolti dalla presunzione di poter gestire un cambiamento che non avevano nemmeno per un attimo ipotizzato anche se loro compito era di sognare il futuro, di costruirlo.
Non è vero “che piccoli atei crescono”, perfino l’ateismo ha bisogno di una fede, lo si sceglie, per me credente sarebbe perfino interessante scoprirne le cause se fosse una vera scelta, dialogare con la differenza dei punti di vista, che però non ci sono, non si intravedono, solo il nulla, i perché senza perché, per darsi alla fuga dalla responsabilità di pensare.
Quanto lontani sono i tempi della contestazione giovanile, di quella lucida e pazzesca fuga di pensiero che fu il ’68, già preistoria. A Parigi si originò la grande avventura della rivoluzione giovanile, sogno di fantasia al potere e laboratorio insolito di lotta politica che in Italia vide due mondi fino allora prevalentemente distanti, quello studentesco e quello operaio, scambiarsi vita con sorprendente contaminazione. Vento di nuovo che trasformato in nuova sostanza provocò speranza di nuovi diritti nelle fabbriche e di nuovo linguaggio nell’università e nella scuola.
Rivoluzione di speranza che, prima di degenerare in altro, segnò il carattere di un Paese che avrebbe potuto approfittare di quel nuovo vento, di quel nuovo linguaggio per inaugurare una grande stagione riformista, per costruire una società migliore, per dare spazio alla fantasia come ricchezza da condividere, ai sogni come risorsa su cui contare. Poteva inaugurare una politica visionaria capace di dare forma a strategie economiche innovative, a una partecipazione appassionata della gente alla politica, purtroppo si ripiegò presto su se stessa, costretta all’angolo da antiche e irrisolte trame sovversive ereditate da una guerra civile consumata nel ventennio che divise l’Italia e che ancora oggi non la rende unita.
Ma quello spirito ancora mi affascina, senza nostalgia, vorrei che quel vento, diversamente dato, con nuova forma e originale sostanza, potesse nuovamente rinfrescare il quotidiano scialbo e passare ai giovani, ai veri giovani e non alle attempate copie, il desiderio di inventare idee, di contrastare il falso, di contrapporsi con audacia e passione alla morte del pensiero.
Come vorrei una appassionata e travolgente stagione in cui i protagonisti fossero loro, i nostri ragazzi, pronti a trovare lo slancio e la curiosità di organizzare anche per noi un mondo migliore. Io ci credo, credo che sia ancora possibile. E credo che come nel ’68 quel vento giunse all’improvviso, così sarà. E per quanto mi riguarda, comunque e in ogni caso, sarò dalla loro parte.
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