So bene che in tanti ambienti ecclesiastici la serie 'The Joung Pope' di Paolo Sorrentino è seguita con sospetto e forse a torto è stata già bollata e archiviata come irriverente e sacrilega. Ritengo, invece, che sia un'opera di grande spiritualità in quanto pone domande che l'uomo da sempre si è fatto e che oggi fa fatica a porsi, ma restano e resteranno monumenti di ricerca filosofica e teologica.
Le domande di sempre ma in un linguaggio nuovo e originale che potrebbe risultare interessante ai teologi e alla Chiesa dal punto di vista del metodo, per incrociare nuove parole e per comprendere il mondo. Lo stile de La grande bellezza ritorna potente, ma superato da una provocazione di significati che, nei fotogrammi studiati uno per uno, sembra voler segnare un percorso di ricerca diverso.
Il parlare di chiesa è solo un pretesto, in realtà ciò che emerge è se sia ancora possibile annunciare Dio all'uomo di oggi. La corte papale, la curia con le sue contraddizioni restano sullo sfondo, benché facciano da palcoscenico della narrazione, per dare spazio a dialoghi suggestivi, per lo più monologhi propri di chi cerca faticosamente risposte dentro di sé, di chi è ancora interessato alle questioni ultime sull'esistenza, sul suo fine e il suo perché oltre la storia.
È questo aspetto che mi affascina in questa produzione che ha investito capitali e risorse in un prodotto che, se non fosse presentato come serie televisiva, sarebbe di sicuro candidato all'Oscar per il coraggio con cui, fuori da ogni schema, propone l'idea di Dio a una società desacralizzata e ormai pagana. Sorrentino sceglie come suo primo interlocutore un papa giovane ma già vecchio, uomo di potere, presuntuoso e debole di affetto, bello ma fragile di poesia, come la nostra epoca, un vicario di Cristo vestito di inquietudine, un uomo di Dio che più degli altri dovrebbe conoscerlo, ma che più degli altri è provocato dal dubbio, un uomo che va oltre il personaggio, icona di un tempo in cui domina l'immagine su tutto, ma dove in assoluto vince la decadenza.
Anche nella Chiesa, ma oltre le sue mura, uguale e peggio, si staglia il potere della mediocrità afflitta dal bisogno di uscire dall'anonimato con ogni mezzo e a ogni costo. Sorrentino risponde alle domande sul senso della vita, sulla storia, sul perché delle ingiustizie, del dolore, della sofferenza mettendo sulla bocca del papa parole che dovrebbero essere dell'uomo pioniere di senso, parole che furono dei grandi medioevali che, tra eresie e dogma, tra roghi e canonizzazioni, resero possibile la nascita della libertà di parola, di quelle grandi idee che fecero nuova l'Europa e il mondo.
È un papa che ritorna a parlare di Dio e lo fa con la sofferenza della ricerca, con i chiaroscuri della psicanalisi, con la volontà di non mortificare l'intelligenza e permettere all'uomo comunque di restare uomo, non fantoccio, non caricatura, sempre in piedi senza servilismo, senza infantilismi, senza sovrastrutture mitiche e superstiziose. Dov'è Dio, dove la sua misericordia, ma dove sta andando l'uomo, le domande di sempre ma la novità sta proprio nel rimettere al centro del mondo e del suo destino quella ricerca spirituale e intellettuale senza la quale, oltre la risposta e benché la diversa risposta, il destino del mondo è condannato alla barbarie.
Domande che fanno paura, che non fanno audience, ma grazie all'invenzione di un genio della cinepresa possono di nuovo interessare il grande pubblico. Ci vuole coraggio nello spodestare il parlare facile e vantaggioso di una chiesa semplice agenzia caritativa, interessante solo se fa il bene e non dice il perché, che si sporca le mani per i poveri e spesso tradisce, ma non si capisce la sua scelta.
Perché in verità parlare di Dio e di fine ultimo, cercare l'uomo pensante, forse non conviene neppure alla chiesa, non fa audience e non procaccia clienti. Se i giornali parlano del Papa o della chiesa parlano di struttura ecclesiastica, di etica, di scandali, di viaggi e di politica, mai di Dio. I grandi titoli scrivono di Francesco quando sgrida i potenti, quando sdogana la misericordia per gli esclusi, ma perché lo faccia, a quale disegno stia rispondendo non è dato saperlo, non interessa, nessuno se lo chiede.
Sorrentino mette in scena Dio, lo afferma, lo nega, lo cerca, lo rifiuta, lo invoca, lo "bestemmia", ma Dio rimane il protagonista e con Lui l'uomo e le sue domande. Grande sfida con cui confrontarsi e per quanto mi riguarda il regista ha già vinto.
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