“Pino & Friends”. Rincorreva le note con le parole. La sua voce sempre incredibilmente intensa. Anche se, a tratti, lievemente stanca. Ma non lo erano le sue mani sulla chitarra, non lo era la sua musica. La sua passione.
Intorno a lui amici americani, tra cui il grande chitarrista Richie Havens, e artisti che avevo visto in Italia tanti anni fa. Tra questi Tullio De Piscopo, Rino Zurzolo.
Tutto questo è successo a New York, tra stupore di tutti. Era il 2013. Questa è stata l’ultima volta che l’ho sentito cantare e suonare dal vivo in un locale di Midtown.
Pino Daniele il musicista che mi aveva fatto amare ancora di più Napoli, che aveva accompagnato la mia adolescenza, che mi aveva fatto sentire anche un pò americana con il suo blues prima di venire a New York, lo avevo ritrovato e conosciuto qualche anno prima, nel 2009, quando venne a suonare all’Apollo theatre di Harlem.
Fu un successo indimenticabile. Una presa sul pubblico straordinaria. Non c’era un concerto, c’era la musica. Tanto era il ritmo nel teatro che, nonostante un severo servizio d’ordine, la gente uscì dai posti assegnati per ballare, fino a sotto il palco.
E lo facevano tutti, pubbico e addetti al lavoro. Ricordo di essermi ritrovata a ritmare la sua musica insieme ad una donna nera che, solo pochi minuti prima, era stata molto scostante con il cameramen che mi accompagnava. Mi sorrise e si lasciò trasportare, “A me me piace ‘o blues”.
E conobbi Pino proprio in quei giorni, lo intervistai, per poi rincontrarlo insieme ai suo figli e conoscerlo meglio nelle altre due trasferte nel 2012 e nel 2013 in cui segui più da vicino la sua tournee newyorkese.
La seconda volta il concerto fu sempre nel tempio di Harlem, teatro strapieno e ancora un grande successo. Due giorni prima avevo organizzato, insieme a Stefano Albertini, il direttore della Casa Italiana delle NYU, una conversazione su Napoli di Pino con l’attore John Turturro. Non dimenticherò mai l’incontro di queste due icone qui a New York.
Ricordo che il suo producer americano, Massimo Gallotta, mi chiese cosa si poteva fare di diverso con Pino Daniele. Mi venne in mente la Casa Italiana Zerilli-Marimò della New York University, il luogo più accogliente che narra la cultura italiana a New York, e poi il regista/attore John Turturro.
Era da poco uscito il suo film “Passione”, viaggio nella Canzone Napoletana. Napule è è il brano di chiusura del film. Viene eseguito nella sua versione originale, anche se l'autore napoletano non appare,
Pino accettò con entusiamsmo l’idea e anche John Turturro disse sì.
Incredibile, non si erano mai incontrati! Fu emozionante vedere con miei occhi le sfumature di quell filo rosso che può accomunare solo due grandi artisti. E poi certo, c’era Napoli, quella ‘passione’ che aveva tanto attratto Turturro, quella che metteva nella sua musica Daniele.
La terza volta che Pino venne a New York fu molto diversa. Il concerto non fu più all’Apollo, che con la sua amosfera, in un certo senso sacra, tiene distanti gli artisti dal pubblico, ma in un luogo che quasi quasi lo faceva toccare. O almeno sembrava di poterlo toccare. Con lui suonavano amici di New York, ma anche vecchi compagni della sua vita-viaggio-musicale venuti da Napoli.
Ricordo il figlio, che questa volta più delle altre, lo seguiva con lo sguardo e con grande dolcezza. Intuii una fragilità di Pino, ma il concerto fu trascinante e nessuno se ne accorse più di tanto.
Seguirlo dietro le quinte, camminare insieme a lui e poi con i suoi musicisti, vedere le prove, mangiare insieme… ricordo quei momenti, venati anche da un po’ di invidia da parte mia.
La magia che si crea tra amici, infatti, si amplifica in maniera incommensurabile quando c’è musica e, se a suonare questa musica c’è un artista della portata di Pino Daniele, tutto diventa magico. Tutto sembra facile, scorrere. E’ un’improvvisazione irripetibile, che necessita però di una grande maestria, armonia.
Ricordo la dolcezza nei miei confronti di Pino Daniele, quella che rivelò soprattutto l’ultima volta che venne a New York, quando un pò già mi conosceva. Quel suo cercarmi per sapere di più della città e della sua gente, e le sue domande implicavano sempre una risposta al femminile. Non ero più solo una giornalista, ma un’amica americana che lo aiutava a cercare anche Napoli a New York.
Perchè la sua forza veniva da Napoli. E’ banale dirlo, ma va ribadito. Me lo disse chiaramente nell’ultima intervista: “Essere napoletano all’inizio era difficile… ma ora Napoli mi tiene in vita da un punto di vista creativo. Se sei un portatore sano, la napoletanità è un modo di essere. Questa città ha un patrimonio bello, nobile, ed io attingo da Eduardo, dalla musica napoletana del primo novencento…”.
L’aria di New York la indossava come un vestito di seta che scende felice sulla pelle, era a suo agio, camminava per le sue strade cercandone le sonorità, ascoltando le voci ed i suoi rumori. Si fermava nella pizzeria Ribalta, per cercare una pizza di cui non si può fare a meno. Anche a New York.
Aveva tanti amici americani e capitava di incontrare sguardi di volti noti della musica, quasi in incognito, ai suoi concerti.
Ma l’atmosfera della Grande Mela diventava tutt’uno con quella di Napoli non appena imbracciava una chitarra, per abozzare la prima nota del suo blues.
Ed ecco arrivare Napoli anche qui. Ci ha fatto entrare nel suo ventre, nei suoi vicoli, sul suo lungomare. Con i suoi odori, rumori, le sue urla, anche la sua munnezza, la sua superstizione, la sua storia. Una bellezza che portava dentro e che solo la sua musica ha saputo raccontare. Una bellezza che incanta, che ci sia il golfo a fare da sottofondo o i il profilo conosciuto di New York. Una bellezza aperta all’incontro di altro ed altri, di altre culture, di altra musica.
Pino è forse il napoletano più schivo all’apparenza che abbia mai incontrato. Ma a cosa serviva parlare? Lasciava fare tutto alla sua musica. E che parole!
“Non sono un intrattenitore. Sono uno che suona”, mi ha anche detto. In questo forse un insegnamento per molti che, soprattutto oggi, intrattengono invece di suonare.
Pino, il nostro abbraccio quando è andato via, per salire sul pulman del suo tour, è ripreso con la telecamera a termine della mia intervista. Non era una finzione, era spontaneo e ringrazio il mio staff video di averlo colto. Un ricordo indelebile.
Ci siamo salutati immaginando un ritorno a New York. Non è stato così, ma questa città lo ama insieme a me. E per sempre.
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