VORREI fare l’elogio della gentilezza, suprema arte che restituisce dignità all’umano, oggi in rovinosa caduta nella Napoli dei mille bordelli che, proprio per la penuria di “creanza”, si va ammalando, giorno dopo giorno, di incivile convivenza.
JOHANN Wolfgang Goethe soggiornò a Napoli due volte nel 1787, a distanza di qualche mese. Nel suo viaggio in Italia ci restituisce non solo l’immagine vivida di luoghi di impareggiabile bellezza, ma soprattutto il carattere di un popolo che, per sua natura, il poeta riconosce essere gentile oltre ogni aspettativa.
Non so se le impressioni di Goethe fossero intrise del sentimentalismo tipico dei viaggiatori nordici della sua epoca o se avesse inteso per gentilezza quel tratto ruffiano di un popolo pronto ad accattivarsi la simpatia del forestiero per vendergli ogni mercanzia.
Fatto sta che la gentilezza è una esperienza umana che rende la vita degna di essere vissuta, e una città alla quale essa sia estranea diviene gelida e invivibile. Irrespirabile diventa l’aria di quel posto dove la gentilezza è oppressa.
Riconosco che a qualcuno risulterà inopportuno, inutile parlarne ora, in un tempo dove altre sono le priorità, dove i problemi che ci attanagliano quotidianamente non sembrano risolvibili con il possesso di una diversa attitudine d’animo. Crisi economica, città senza visione politica, senza struttura istituzionale di riferimento, senza padre e senza madre, altro occorrerebbe, si dirà.
Eppure sono convinto che ridare la gentilezza a Napoli servirebbe a risollevarne il futuro.
Non costa nulla la gentilezza ma porta in sé una tensione salvifica, una rendita di civiltà.
Noi purtroppo l’abbiamo svenduta per trenta denari di squallida volgarità e per questo motivo lo spazio vitale che era in nostro possesso, indispensabile per il futuro dei nostri figli, spazio politico, economico, spirituale e perfino quello fisico, destinato a essere occupato per la civile convivenza, resta ora proprietà privata contesa dai farabutti di sempre. Protetti dalla corrotta scorrettezza istituzionale, dalle parole scaltre dei venditori di fumo, dalla politica dei mercenari, a vantaggio della logica meretrice dei “figli di” che, senza valore alcuno e senza ritegno, si accaparrano i posti migliori.
Volgarità che non risparmia i luoghi preposti a raccontare il sentimento alto e nobile della gentilezza, la scuola, la chiesa, la famiglia. Luoghi preposti a fare diga alla prepotenza dei forti e allentare le continue difficoltà della vita, a passare come tragico ed esaltante l’ascolto della vita come attenzione agli stati d’animo e alle sensibilità degli altri, a testimoniare la sfida di rendere leggera l’esistenza, ferita continuamente dall’egoismo e dalla idolatria del successo, dal sopruso dei delinquenti, a dare dignità a quelle emozioni scartate nel tempo dei falsi maestri e ritenute pratica di uomini deboli, irrise come la timidezza e la tenerezza, la mitezza e la speranza.
La gentilezza è il vero sapore dell’umanità che penetra nel cuore degli eventi, la più grande responsabilità che ognuno ha verso se stesso e i propri figli.
Per molti oggi essere gentili è tempo sprecato visto quanto l’irruenza della prepotenza sembra vincere in ogni contesa. Cosa farsene di un’inclinazione noiosa, ritenuta roba da fessi, una virtù da falliti.
Eppure non esiste condizione interiore più forte per vincere l’arroganza della volgarità, per ripristinare percorsi rovinati dall’incuria dei valori perduti. Non esiste altra premessa per rendere possibile una rivoluzione politica, sociale, spirituale capace di cambiare il volto di una Napoli tumefatta.
La gentilezza è resistenza eroica, ancor di più quando è gentilezza sociale, è un ponte che ci fa uscire dai confini del nostro io facendoci partecipare della vita degli altri. Crea invisibili alleanze, invisibili comunità di destino, che superano la chiusura nel privato, lo scarto tra quello che mi serve e quello che è giusto, e smorzano la morsa della solitudine in cui si sente prigioniero l’onesto, inaugurando un tempo dove lo stare insieme è di nuovo lotta per la libertà.
L’uomo gentile è un uomo amorevole che nelle parole, nelle espressioni, nei gesti, in ciò che propone e che offre rende evidente le sue migliori potenzialità, il meglio di sé; colui che in ogni relazione permette all’altro di percepire il rispetto e l’amore per la vita, la dignità come valore assoluto.
La gentilezza è il modo più autentico per dimostrare amore alla nostra terra, è la Vita che invita la vita stessa a danzare a un ritmo tale che la bellezza e la pace risuonano fino a spegnere ogni eco disarmonico.
Un atto gentile è una dichiarazione d’amore. Tutto con un po’ di gentilezza diventa accettabile, in ogni caso decisamente più umano.
* Gennaro Matino è docente di Teologia pastorale e insegna Storia del Cristianesimo presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Editorialista di 'Avvenire' e 'Il Mattino'. Opinionista di 'La Repubblica". Parroco della SS Trinità. Il suo più recene libro: “Economia della crisi. Il bene dell'uomo contro la dittatura dello spread" (Baldini & Castoldi - 2013).
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