Unisco qualche piccola osservazione personale, da semplice spettatrice senza alcuna pretesa, al coro di articoli generalmente favorevoli, ma non privi di qualche critica, apparsi sul web subito dopo la fine dello spettacolo.
Ho visto l’opera al cinema, sul grande schermo. Mi aspettavo che gli operatori della televisione avrebbero proiettato lo spettacolo dal punto di vista di uno spettatore di platea, oppure dei palchi centrali del teatro. Immaginavo di vedere l’intero palcoscenico, la scena ed i cantanti, con qualche colpo d’occhio sull’orchestra. Non così, per cui mi ha fatto una impressione non sempre gradevole l’ indugiare insistente sui primi piani dei volti e dei corpi dei cantanti e degli arredi di scena. Certi particolari meglio non vederli.
La infelice storia d’amore di Violetta Valery ed Alfredo Germont esiste ancora oggi nella mente di tutti, in tutto il mondo, perché Giuseppe Verdi ha creato per loro una musica magica ed immortale, coinvolgente, che tocca i sentimenti profondi, estrania dalla realtà immediata ed apre le porte del sogno. Splendida l’orchestra diretta da Daniele Gatti, applauditissimi i cantanti, la protagonista tedesca Diana Dumrau, il tenore polacco Piotr Beczala ed il baritono serbo Zeljco Lucic. Parecchi buuuu, invece, quando è apparso il regista, insieme agli applausi durati a lungo. Mi è dispiaciuto stare in un cinema e non poter manifestare il mio sentito apprezzamento per l’orchestra ed i cantanti insieme al pubblico del teatro alla Scala che applaudiva in piedi.
Cerco di spiegare i buu per la regia. Ha suscitato perplessità l’eccessivo realismo della regia di Dimitri Tcherniakov. Francamente un Alfredo Germont con la giacca con gli spacchetti laterali e senza cravatta è piaciuto poco, ancora meno Violetta, nella seconda parte una casalinga con un vestitino marrone col colletto di pizzo. Inoltre è apparso strano vederli in una grossa cucina tradizionale piena di pentole, Alfredo chino su un tavolo ad affettare zucchine e tagliare un bel mazzo di sedano mentre canta un’aria piena di pathos. Ancora, mi ha suscitato un secco no vederlo chino sullo stesso tavolo mentre ammassa la pasta e versa la farina sull’impasto. Bastano dei piccoli ma significativi particolari negli arredi di scena per comunicare il calore del focolare domestico. Stessa perplessità per quella cantante del coro mascherata con piume da Sioux, fuori luogo. Forse non ho capito bene di che cosa si trattava, forse ancora, tutto questo è di secondaria rilevanza.
Conta la musica di Giuseppe Verdi. Eterna, un immortale patrimonio dell’umanità che l’Italia ha dato al mondo. Dobbiamo esserne orgogliosi.