Anche la politica americana puó essere interessante. Non tanto entusiasmante, drammatica, spettacolare e sorprendente quando quella italiana, ma di sicuro interessante. Rimane il fatto che, negli Usa, prima del voto partigiano (primarie) e di quello popolare, i potenziali candidati alla presidenza devono sottoporsi ad una selezione puramente economica: chi riceve piú appoggio finanziario puó accreditarsi per la gara. Mentre in Italia i partiti decidono chi candidare, in America le candidature vengono decise dai contribuenti. Questa volta, peró, non é solo questione di “chi ha piú soldi”. In queste elezioni presidenziali, i soldi rappresentano l’80% del potere elettorale ma, a sorpresa, si é intromesso un elemento strategico. Ed é questo l’elemento interessante. Ma andiamo per ordine. Sin da prima delle elezioni presidenziali del 2004, l’establishment del partito Democratico aveva de-facto designato la senatrice dello stato di New York, Hillary Clinton, come candidata alle presidenziali del 2008. Questa decisione aveva creato non poca tensione dentro lo stesso partito, visto che, in quella situazione, la Clinton non poteva appoggiare la candidatura alla presidenza del democratico John Kerry. Per molti analisti, l’elezione presidenziale del 2004 doveva essere una “passeggiata verso la Casa Bianca” per qualsiasi candidato Democratico. Ma, nonostante tutti i problemi –– politici, economici, sociali –– del presidente George W. Bush, Kerry non c’é l’ha fatta, lasciando quindi aperta la finestra del 2008. Se Kerry avesse vinto, il turno per la Clinton sarebbe sicuramente arrivato nel 2012. Inoltre, se Kerry non fosse stato un buon presidente, nel 2012 Clinton ne avrebbe pagato le conseguenze. Per questi motivi sia l’ex-presidente Usa Bill Clinton che la consorte Hillary, hanno fatto solo il minimo indispensabile per aiutare la campagna di Kerry. Naturalmente, oggi che tocca a Hillary, Kerry ha appoggiato per la presidenza il senatore democratico dell’Illinois, Barack Obama. Durante i preparativi per le primarie –– considerando la scarsa popolaritá dei repubblicani –– l’insidia principale per Clinton poteva arrivare solamente dallo stesso partito democratico. Ed ecco perché alcuni media influenti come il “New York Times” hanno aiutato a creare un personaggio come Obama: un candidato forte abbastanza da scoraggiare qualsiasi altra candidatura piú forte, ma non troppo insidioso per Clinton (il NYT ha, naturalmente, appoggiato Clinton). Con la sorprendente rimonta del senatore repubblicano dell’Arizona, John McCain, i repubblicani hanno un’ottima possibilitá di tenersi la Casa Bianca. Cosa che, fino a poco tempo fa –– quando i loro favoriti, Rudy Giuliani e Mike Huckabee, non erano eleggibili a livello nazionale –– era data persa di sicuro. Avendo avuto occasione d’incontrare McCain, lo considero un repubblicano moderato che ha dovuto vestire i panni del lupo cattivo per farsi accettare dalle ali piú estremiste del partito. Una volta conquistata la “nomination”, tornerá ad essere il candidato in grado di generare un ampio consenso popolare. Con la rimonta di McCain si é subito mobilitata la cavalleria repubblicana, creando un appoggio incondizionato ad Obama. Infatti si vocifera che anche Rupert Murdoch, il proprietario della rete Tv conservatrice Fox, appoggi Obama (dopo un primo sostegno a Clinton), perché ora bisogna a tutti i costi indebolire Clinton. Con la candidatura di Obama, la Casa Bianca sarebbe piú che assicurata per McCain, sul quale si riverserebbero tutti i voti repubblicani, buona parte degli indecisi, degli indipendenti, dei moderati e dell’ala destra dei democratici. Al contrario, una sfida Clinton-McCain, porterebbe via a quest’ultimo molti voti dei moderati repubblicani, mentre alla Clinton andrebbero buona parte degli indecisi e degli indipendenti, oltre che a quelli dei democratici. #
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