Tutta colpa di quel soffitto. Per te Massimo Vignelli, ovunque tu sia

Letizia Airos (May 28, 2014)
Come se stessimo ancora conversando, ti ricordo. Perchè sei venuto a mancare, ma sei dentro la mia vita. E lo sarai per sempre anche in questa New York, che hai reso italiana più di ogni altro

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Dovevo intervistarti, era la prima volta. Sono entrata quasi intimorita a casa tua. In quello che, nel mio immaginario, era un tempio del design. E lo era. La luce filtrava da un enorme finestrone  e attraversava una lunga sala. C’era un profondo silenzio, ma sembrava ci fosse musica. Mozart forse...
 

In fondo, a sinistra una grande scrivania nera. Una lastra di metallo, di quelle che si usano per coprire gli scavi dei lavori in corso per le strade di New York, che solo tu potevi immaginare di usare in modo così accogliente per disegnare.  Lì seduti, intorno, avremmo fatto la nostra prima intervista video e lì - ma questo ancora non lo sapevo - avremmo poi avuto altre lunghe chiacchiarate senza tempo.
 

Ho cominciato chiedendoti perchè hai lasciato Milano. Mi hai risposto: “Perchè è troppo piccola, è provinciale. Il soffitto è troppo basso. Sono venuto a New York pensando che il soffitto fosse più alto e ho scoperto che qui il bello è che il soffitto non esiste.”

E’ stata questa risposta l’inizio della nostra amicizia. Adesso lo so. In poche, ma efficaci parole, mi hai fatto anche capire il perchè della mia scelta di vivere a New York.
 

E la nostra frequentazione è cominciata quasi da subito, ovvero da quel giorno in cui tu, ad una presentazione ufficiale, hai voluto trasmettere quell'intervista su un grande schermo. Non me lo aspettavo proprio.

Sapevo che i contenuti erano buoni,  ma avevo un pò il timore di un tuo riscontro estetico. Sì, è vero, ti temevo. Quando ho visto che la presentavi con orgoglio, seduta in un angolo della sala ho versato lacrime di felicità.
 

Conversazioni senza tempo. Li definirei così i nostri pomeriggi passati a parlare. Parlare di design, e non solo di design. Ma non era strano per te. Il design permeava ogni tuo respiro, il tuo rigore toccava ogni argomento.
 

‘Rigore’, una parola che potrebbe sembrare noiosa, ma che con te proprio non lo era. C’era la tua matita che lo disegnava, con quelle mani precise che non dimenticherò mai. C’era l’ordine e c’era anche il disordine ordinato, che piano piano mi hai fatto scoprire di te. Già il famoso Canone Vignelli. Quella formula, soprattutto per le giovani generazioni per te così fondamentali. Quelle regole che non comprimono la ceatività, ma la sviluppano.

Avevo davanti a me l’intellettuale in tutta la sua purezza. Un approccio alla vita denso di curiosità, desiderio di continuo approfondimento. Quel superare la superficie, sempre e comunque. Quella ricerca di fare sempre meglio, anche le stesse cose.
 

Parlavamo, e le tue domande mi davano l’impressione di darti oltre che di ricevere. Mi chiedevi di tutto, la tua curiosità cresceva in maniera esponenziale appena si trattava di qualcosa di tecnologico. Ricordo quando ti misi in mano il mio iPhone per puntare a un QR code e vedere un video su Youtube. I tuoi occhi, il tuo sorriso, la tua voce, diventavano quelli di un bambino. Stupiti davanti ad una nuova scoperta. Steve Jobs, come amavi parlarne… e poi il computer con tutto quello che comportava. Con quella difficoltà che dicevi di avere nell’usarlo. Ma forse non era proprio così. La tua matita prendeva semplicemente il sopravvento. Era una battaglia che non potevi vincere. Ma ricordo bene quando ti mettevi affianco a Mauro Sarri, che riportava sul computer i tuoi disegni. L’attenzione con cui lo seguivi. E poi davanti a te, sempre il tuo MacBook Air, il tuo iPad, il tuo iPhone. Immancabili.
 

Vero, la matita vinceva sempre. Un’altra delle cose, con cui mi hai stupito, è stata un foglio abbandonato sulla scrivania prima di una tua partenza. Sopra c'era la lista di cosa dovevi portare. Una lista che non era scritta, ma disegnata nei minimi dettagli, dagli indumenti intimi al caricatore dell’iPad.
 

E,  Massimo, sei stato accanto al nostro progetto editoriale come pochi. Lo hai fatto con infinita generosità. Seguendolo da vicino, ma anche con una rispettosa distanza. Hai visto nascere il nostro magazine, hai dato consigli per semplificarne la grafica, ci hai regalato un nuovo logo. Hai discusso con me sui contenuti.
 

Ci sono stati due momenti in cui hai preso la matita all’improvviso, come fai spesso tu, e lo hai fatto per noi davanti a me.
Non li dimenticherò mai. Quando hai cominciato a ripensare il nostro logo e quando hai disegnato la nostra 500. La matita, disegno in bianco e nero e poi quei pastelli che coloravano. Magici. L’insicurezza della tua mano, bellissima, che cercava all’inizio, il percorso giusto, i tratti perfetti. Poi la sicurezza della tua mente che aveva trovato la strada. Ed il tuo confrontarti con noi, il tuo chiedere anche consigli. “Che ne dici?”.
 

Una 500 tricolore? Poteva essere qualcosa di esteticamente pericoloso. Massimo, lo avevi capito prima di tutti. Hai voluto disegnarla tu. E’ per questo che mi hai detto: “Letizia non posso permettere che i-Italy giri a New York con una macchinetta banale. Vedrai, si noterà e sarà bella”.
 

E come posso dimenticare il giorno che l’hai vista realizzata? Te l’abbiamo portata sotto casa e tu hai cominciato a girarci intorno. Dieci volte? Si almeno. Ti piaceva, anche se il rosso non era esattamente quello che volevi. Ma ti piaceva. E la sera del Gala de LaFondazione, mi inseguivi dicendo: “Letizia, guarda che voglio tornare a casa con te, dentro la macchinetta!”
 

La mia redazione ti amava. Sei dentro il cuore di tutti. Quando lavoravamo insieme, filmavamo, tu interagivi con tutti.  Ricordavi i loro nomi. Uno per uno. Volevi sapere di loro. E Iwona Adamczyk, la nostra foto-reporter, che scrive di Italia e ama l’Italia più di tutti noi,  forse era la tua preferita.
 

Sono molti i ricordi che abbiamo insieme, Massimo. Eppure sono solo tre anni che ci siamo frenquentati. E, ora che non ci sei più, non posso spostare la mente da quelle ore dentro casa tua. Non ci saranno più. Sono tanti i momenti vissuti insieme.
 

Ricordo con quanta attesa hai aspettato dei mobili per coprire dei libri che distraevano lo sguardo nella tua sala. Chiunque avrebbe immaginato Massimo Vignelli alla ricerca di una soluzione costosa e 'firmatissima'.
 

Ma quello che secondo me – e te lo dico senza ombra di dubbio – è il più grande designer contemporaneo, sapeva amare anche IKEA. Raccontavi con ferma convinzione  come sono bellissime certe soluzioni anche economiche che la ditta svedese propone. E infatti ne scegliesti una proprio per i tuoi libri.
 

Mentre parlavamo, una presenza costante. Quella di Lella. La tua compagna, la tua vita, inghiottita nell’Alzaimer. Piano piano ho capito che la portavi dentro. Ancora di più.  Anche quando non era, silenziosa, seduta nella nostra stanza. Anche quando mi dicevi: Lella non c’è.

E ho capito che l’intellettuale ancora una volta aveva preso il sopravvento in te. La studiavi, studiavi la sua malattia, la sua mente. Avevi chiesto aiuto alla tua intelligenza per amarla sempre di più.
 

Lella. E negli scorsi mesi esce il tuo omaggio a lei. Stupendo. Elegante. Unico. Design by Lella, una panoramica sul lavoro che avete sviluppato insieme, non solo nel campo del design, ma anche degli interni, oggetti di arredamento, allestimenti, moda, gioielli. Un  libro elettronico che riassume tutta la vostra vita, ma che soprattutto celebra Lella e  le donne. Le donne nel design. Tutte le donne.
 

Lo so che mandarlo in giro in formato elettronico fa parte di una tua scelta. Della tua constatazione che la rete ha vinto sulla carta – la carta che è stata fondamentale per il tuo design – ma io spero che presto venga pubblicato, che diventi un libro da toccare.
 

Le donne, i giovani, i bambini, le coppie nel lavoro. Punti importanti per te. Rispettavi l’universo femminile come pochi sanno fare. Amavi i giovani e lo facevi in maniera critica e costruttiva al tempo stesso. Eri vicinissimo ai bambini.  
 

Ti immedesimavi subito con le altre coppie, che come la tua, lavoravano insieme. Ed è successo anche con noi quando hai conosciuto il mio compagno. Lo hai fatto entrare nella tua vita. E con lui parlavi anche di politica, argomento che io non amavo troppo toccare.  Quanti consigli ci hai dato. Speriamo di riuscire a seguirli.
 

Chiudo questo ricordo di te che rivolgo a te. Prima di tutto. Lo faccio riportando una tua email. Email che cosa mi ha rivelato ancora una volta la tua grandezza non solo intelluttuale, ma anche umana.

“Ti ringrazio per avermi portato copie di i-Italy e soprattutto per lo spazio dedicatomi. Sei veramente un tesoro. La rivista diventa sempre meglio e sempre più vera…. Nel testo dell'intervista c’è un grosso errore di interpretazione e traduzione, ma non importa tanto i lettori non se ne accorgono… Tu hai tradotto "scala " con "scalinata". Il fatto è che non parlavo di scalinate, ma di scala come valore intangibile, che in inglese si traduce in "scale" con lo stesso significato intangibile che ha in italiano. Il difetto è che in italiano si usa la stessa parola, ed il significato cambia nel contesto d'uso. Se tu sostituisci "Staircase" con "Scale", vedrai che tutto va a posto. Non parlavo di scalinate, ma di ben altro….! Prova a  rileggere quel paragrafo e vedrai la differenza.

Come ti ho detto non ti preoccupare, non è una pubblicazione scientifica, che altrimenti ci farei una brutta figura, ma qui nessuno se ne accorge ( almeno spero…)

Il più grande designer della contemporaneità. Mi dispiace che, ancora una volta, l'Italia se ne è accorta troppo poco. Anzi pochissimo. Lo so, tu dici:  tutta colpa del soffitto...

Massimo, grande Massimo. 

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