Linguaggio della politica. Parole e Parolacce

Emanuela Medoro (February 01, 2014)
Riuscirà il giovane Matteo, di solide radici culturali toscane, a far cadere nel dimenticatoio l’ondata di rozza volgarità che soffoca me e tante altre persone ben educate? Riuscirà a risciacquare in Arno, almeno per quanto riguarda la comunicazione, i panni sporchi dell’Italia di oggi?



Mi manca l’uso quotidiano delle belle parole, quelle della lingua colta, usata da gente ben educata ed istruita, capace di esprimere idee, sentimenti ed emozioni con un lessico appropriato e concordanze morfologiche e sintattiche corrette. Non tutto questo, il turpiloquio, invece, è diventato il linguaggio usato per trasmettere concetti ed identificarsi in gruppi sociali. La politica della non politica ha contribuito in modo macroscopico alla diffusione di parole e gesti, prima ritenuti inaccettabili fra gente, diciamo così, per bene.

 

Indimenticabili episodi segnano la mia esperienza personale di questo brutto fenomeno. Il linguaggio osceno, fatto sia di gesti, corna, dita e tutto quanto prodotto dalla straordinaria mimica italiana, che di parole, è profondamente penetrato nel tessuto sociale, rendendo di fatto impossibile, per le persone ben educate, ogni discorso che vada oltre la descrizione del cibo quotidiano e le variazioni atmosferiche. Questi ultimi argomenti registrano la diffusione di parole che indicano singolari sottigliezze. Il livello dell’acqua del fiume, che prima cresceva, si gonfiava, tracimava, inondava, allagava, sommergeva la pianura circostante, adesso esonda. Una bella giornata di sole è una bolla di alta pressione, più o meno stabile, proveniente da ovest.

 

Il linguaggio della politica è tristemente impoverito ed involgarito. La v maiuscola nella parola movimento usata come simbolo da un partito che rappresenta in parlamento una larga porzione di cittadini italiani, è quanto meno preoccupante, per eventuali sbocchi futuri, più o meno prossimi. Ricorda troppo da vicino il me ne frego di antica memoria, che credevamo disusato e passato nel dimenticatoio. A casa mia era assolutamente vietato l’uso di quella frase, insieme alla parola casino, oggi largamente usate. Tutte le parole più volgari del linguaggio sessuale sono usate come strumento di battaglia ideologica, nelle piazze, nei bar, nei circoli, nei luoghi d’incontro ed in parlamento, in un processo di reciproca influenza.  Non riporto tutte queste parole, non è necessario, lo fanno benissimo i media nazionali.

 

 Nel mio piccolo sottolineo con dispiacere, anzi con raccapriccio, l’uso di volgari espressioni del più becero linguaggio sessuale maschilista da parte delle donne, anche di quelle generalmente ritenute colte, in un malinteso e sempre vano tentativo di sembrare autorevoli. 

 

E’ per questo motivo che con soddisfazione ho visto crescere di rilievo, a livello nazionale, il giovane toscano, portatore di una favella articolata, forbita, ricca, e di una cultura civile capace di adattare il linguaggio a luoghi e situazioni. Inoltre è liberatorio dalla boria dei ricchi il fatto che il giovane non è titolare di un patrimonio personale stellare da spendere nell’arena politica. Il ché, oggi, è una salutare boccata di aria fresca.  Riuscirà il giovane Matteo, di solide radici culturali toscane, a far cadere nel dimenticatoio l’ondata di rozza volgarità che soffoca me e tante altre persone ben educate? Riuscirà a risciacquare in Arno, almeno per quanto riguarda la comunicazione, i panni sporchi dell’Italia di oggi?

 



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