Emancipate voi stessi dalla schiavitù mentale

Gennaro Matino (May 12, 2014)
All'Arenile Reload di Bagnoli, si è svolto il Bob Marley Tribute. Una sua frase, catturata da una sua celebre canzone, “Redemption Song”, riesce ancora a far giocare i miei sogni. Emanciparsi dalle passioni, verità che accomuna uomini giusti, diversi per fede e per percorsi intellettuali. Emanciparsi dalla schiavitù mentale, potenza straordinaria di un messaggio capace di superare il tempo


CHI ha paura di sognare è destinato a morire», così cantava il più alto interprete della musica reggae, Bob Marley, poeta di pace che lasciava la vita in questo stesso giorno del 1981, stroncato da un male contro cui, per ubbidienza alla propria fede religiosa, aveva deciso di non combattere.


Marley è considerato uno dei musicisti più influenti di tutti i tempi, ma è molto di più, è un grandioso interprete della libertà e della pace, voce politica della lotta non violenta contro ogni oppressione razziale. Tanto da meritare nel 1978 la medaglia della pace delle Nazioni Unite.


Anche Napoli ha voluto ricordarlo l’altra sera all’Arenile di Bagnoli, sul palco alcuni tra i più grandi seguaci del genere reggae, tanta gente, giovani e meno giovani, a celebrarne la memoria. Una sua frase, catturata da una sua celebre canzone, “Redemption Song”, riesce ancora a far giocare i miei sogni: «Emancipate voi stessi dalla schiavitù mentale, nessuno a parte noi stessi può liberare la nostra mente».


Emanciparsi dalle passioni, verità che accomuna uomini giusti, diversi per fede e per percorsi intellettuali. Emanciparsi dalla schiavitù mentale, potenza straordinaria di un messaggio capace di superare il tempo: non si può essere veramente liberi se non si libera la propria mente, se non si rende trasparente il proprio cuore, perché non si può chiedere agli altri quello che non si pretende da se stessi. Fatica immane, ma fatica indispensabile per essere liberi.


Un invito a rendersi padroni del proprio destino, a riprendersi se stessi, un sentimento di speranza che interpella ancora con più forza un oggi senza visionari, un tempo di nuove sudditanze perverse e schiavitù striscianti in cui oscuri padroni decidono per tutti e decidono male senza mai chiedere il permesso.


Un Occidente anemico di sogni, un’Europa di cui dovremmo essere cittadini, capaci di costruirla insieme, ma ci accorgiamo dolorosamente di non avere armi ideali e colori di speranza per determinarne il destino.


È strano che proprio nella nostra epoca dove ognuno sembrerebbe padrone della propria storia, dove a proposito e a sproposito si parla di autodeterminazione, si avverta un senso di disagio riguardo alla comprensione e all’uso della libertà.


Mentre si parla di tempo dello sviluppo economico e scientifico, mentre si esalta la conquista della forma democratica di vita civile e politica, mentre si celebra la storia passata dei martiri della libertà, gli uomini sperimentano, proprio nel nostro malato mondo occidentale, come una perdita di identità, di vuoto di comprensione del loro ruolo nella storia.


Ci sentiamo come sballottati ora da un lato ora dall’altro dall’ebbrezza del nostro potere o dalla povertà delle nostre risorse.


Siamo capaci di conquistare lo spazio, ma impotenti dinanzi alle mille sconvolgenti notizie di cronaca che segnalano quanta violenza, crimine, depravazione, vive nelle nostre stesse strade.

Vorremmo tutti essere protagonisti attivi della trasformazione del mondo e delle nostre vite, ma qualcosa ci sussurra nel profondo di non illuderci. È come se avessimo perso la strada, la meta, di cui percepiamo l’assenza determinante, ne soffriamo, vorremmo scorgere una luce capace di ricondurci a casa, ma non sappiamo come fare. E tutto questo genera disagio, che diventa malattia del vivere uccidendo completamente i sogni, le aspirazioni, la gioia.

«Per dare significato alla vita devi fare qualcosa», canta ancora Marley, devi continuare a sognare.


Forse sarà per questo che il Maestro di Galilea invitava a considerare la vita come una scoperta di fanciullezza, una riconquista del sogno perduto. «Se non diventerete come bambini non sarete felici ». E quel sogno fanciullo auspicato per tutti non era proposta confessionale. Era una rivoluzione, il desiderio di un mondo guardato con gli occhi dell’innocenza. Occhi di uomini che non avrebbero dovuto vergognarsi dei propri sogni, che anzi avrebbero lottato per ritornare a guardare la vita con occhi di bambino.


La differenza tra un vecchio e un ragazzo non sono gli anni, sono i sogni. Un vecchio non vede che il suo passato e vive di nostalgia e di rimpianti. Un giovane corre i suoi sogni e aspetta di interpretarli. E così è facile incontrare vecchi giovani e giovani vecchi. Colpa del sogno.

La lotta per la libertà non è una lotta persa, se resisteranno i sognatori, se libertà resterà una parola sconvolgente che non può essere offesa dall’uso nauseante che se ne fa nei salotti perbenisti, nelle chiese decadenti, nei parlamenti parolai, ma parola di speranza per riconquistare i nostri sogni ceduti per pochi spiccioli a farabutti da quattro soldi.


* Gennaro Matino  è docente di Teologia pastorale e insegna Storia del Cristianesimo presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Editorialista di 'Avvenire' e 'Il Mattino'. Parroco della SS Trinità. Il suo più recene libro: “Economia della crisi. Il bene dell'uomo contro la dittatura dello spread" (Baldini & Castoldi - 2013).




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