L'ars retorica di Giulio Cesare
Il potere evocativo delle parole, a volte, é più tagliante di un coltello, un silenzio assordante può essere doloroso come una guerra. Il logos (λόγος dal greco -parola, discorso, ragione) é qualcosa che nel teatro di Romeo Castelucci assume la capacità di scavare dentro l’anima dell’essere umano. E questo in Giulio Cesare - Pezzi staccati lo si percepisce sin da subito. Classe 1960 Romeo Castellucci é un regista teatrale e scenografo che ha sviluppato sin dai suoi esordi un teatro di provocazione, un linguaggio poliedrico nella quale che si fonde con la musica, l'archiettura, la scultura.
Come ha riportato lo stesso Castellucci per il New York Times “Quello che é chiaro in Giulio Cesare é che la guerra é conseguenza di un discorso - il discorso é un arma”.
“Ri-immaginre il mondo attorno a noi” è il concetto che Il Crossing The Line Festival vuole portare tramite le differenti compagnie teatrali da tutto il mondo. Dal Bronx, a Midtown, passando per il Lower East Side fino al Financial District il sipario dell’arte e del teatro si e’ aperto a notevoli performances.
Location iconica quella dove é stata fatta la prima teatrale. Il Federal hall, luogo natio della repubblica americana, situato nel cuore di Wall Street é uno spazio dall’aspetto neo-classico eretto da colonne romane. Gli spettatori sono stati invitati ad assistere allo spettacolo seduti per terra, sul marmo, a mo' di anfiteatro, aspettando che il vuoto di uno spazio cosi solenne si riempia di qualcosa. Si diventa in un qualche modo cittadini romani temporanei. Tutto riporta all’agorà, la piazza, che nell’antica Grecia aveva la funzione di essere il luogo delle decisioni, il punto di incontro e scontro.
La mente creativa di Castellucci in occasione del Crossing the Line Festival ha proposto all’audience americana una rivisitazione della tragedia shakespereana portando in scena delle parti emblematiche del Giulio Cesare (Spared Parts). In principio, nel 1997 la Socìetas Raffaello Sanzio, fondata dai fratelli Castellucci, portava in scena Giulio Cesare - Tratto da Shakespeare e dagli storici latini che ha segnato in ambito internazionale un solco profondo nel teatro contemporaneo.
Due decenni dopo Romeo Castellucci ha presentato una versione frammentata, dei pezzi staccati per un intervento drammatico su Shakespeare come dice il sottotitolo stesso. La particolarità in questo caso é data dal modo in cui Castellucci fonde la parola con la tecnologia. Il potere dell' ars retorica diventa metafora stessa e protagonista dell'intero spettacolo. La parola non parlata, il gesto come discorso, l'apparato comunicativo del nostro stesso corpo. Le scene, basate su tre monologhi, vengono caricate da un pathos violento che si espande per tutta durata dello spettacolo.
Nel primo caso attraverso una sonda ottica Castellucci compone la metafora stessa della parola che appare nuda e cruda per quello che é. L'attore Sergio Scarlatella che interpreta …vskij (probabile riferimento a uno dei padri fondatori del teatro moderno Konstantin Stanislavskij) si infila un sondino endoscopico fino alla glottide proiettando sulla parete del Federal Hall le proprie corde vocali. A seconda dell’intensità del discorso le corde vocali vibravano. Il logos, la parola, diviene semplice e pura emissione del suono.
La seconda parte vede un Giulio Cesare solenne (Gianni Plazzi) il cui unico suono non é dato dalla parola ma dal movimento del camminare e del gesticolare. I suoi passi sono come rimbombi di un gigante che cammina. Il rosso della toga che indossa espressione del sangue di cui si macchierà. La stessa toga su cui Cesare sarà ricoperto dalla testa ai piedi e trascinato via in mezzo al pubblico che perplesso si sposta per creare spazio. Cesare indica, si impone solenne, gesticola e assume le sue decisione con il puro gesticolare.
Il terzo monologo è quello che forse colpisce di più: Marcantonio è interpretato da Dalmazio Masini, attore e poeta laringectomizzato. Masini entra con la ferita bene in vista, è un Marco Antonio vittorioso quello che interpreta e recita la nota orazione funebre di Marco Antonio. La voce è “esofagea” e trasmette al pubblico tutta l’angoscia e l’enfasi del celebre discorso che lo porterà alla vittoria.
Come all’inizio un suono attira il pubblico cosi ciclicamente la scena termina con tante lampadine che scoppiano in maniera lenta e decisa.
In una società come quella dei XXI dove i conflitti umani ed esistenziali, le guerre e il patriottismo sono ancora molto feroci il Giulio Cesare di Romeo Castellucci si inserisce definitivamente in quello che lui stesso definisce teatro antropologico.
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