"Yalla Italia". La parola ai ‘Nuovi Italiani’. Comunicare la distanza, la vicinanza

Michaela De Marco (August 30, 2009)
Intervista a Imane Barmaki dello staff di 'Yalla Italia', il nuovo inserto mensile di “Vita No Profit” dedicato alla realtà dell’integrazione dei musulmani in Italia. I giovani di seconda generazione si raccontano...


Imane Barmaki. Il suo cognome è persiano, il suo nome è arabo. “Geograficamente sono marocchina, culturalmente sono italiana e storicamente sono francofona. Sono un puzzle di identità che si compongono in maniera armoniosa senza alcun problema”. È nata in Marocco e si è trasferita in Italia quando aveva 13 anni. “Appartengo a quella che viene definita la seconda generazione di immigrati”, si definisce così perché solo sulla carta è ‘extracomunitaria’ e non italiana, ma ritiene che questo fatto possa anche essere positivo: “Giacché vivo a cavallo di due culture e ciò mi ha insegnato che non esiste un solo modo di vedere la realtà”.


Imane sogna di ottenere un giorno la cittadinanza italiana, la cui richiesta è stata inoltrata già quasi due anni fa: “Semplicemente perché é importante avere anche questo riconoscimento. Inoltre con la cittadinanza non mi ritroverei a dover rinnovare il permesso di soggiorno ogni anno. Rinnovare quest’ultimo ha effetti negativi sulla mia identità perché sottolinea il fatto che non sono Italiana, cosa non vera. La mia collega di Yalla, Sumaya, una volta scrisse: ‘Che l’Italia lo voglia o no, noi siamo i suoi figli”.


Imane fa parte dello staff di Yalla Italia, il nuovo inserto mensile di “Vita No Profit” (http://beta.vita.it/), dedicato alla realtà dell’integrazione dei musulmani in Italia. Le chiediamo di parlarci di questa nuova realtà editoriale che non solo in Italia, ma anche all’estero, ha già riscosso tanto successo.

Chi siete? Come si struttura il progetto?


Siamo giovani di seconda generazione con tanta voglia di esprimersi. Ci siamo messi a scrivere con il preciso obbiettivo di rompere gli stereotipi. Siamo un po’ esasperati dai luoghi comuni, e per questo vogliamo dare un contributo positivo piuttosto che assumere il ruolo di vittima. Siamo persone con identità culturali multiple e stratificate di cui presentiamo semplicemente le sfumature e le complessità con tanta naturalezza. Yalla italia è un blog cartaceo, uno spazio concreto dove noi, seconde generazioni di immigrati, abbiamo la possibilità di scrivere liberamente i nostri punti di vista circa l'argomento che ogni mese concordiamo. É una finestra originale che si apre verso il mondo sconosciuto dei ‘nuovi italiani’: quelli che hanno radici lontane, dal Maghreb al Kashmir. È un ponte virtuale fra la sfera dell'immigrazione dei nostri genitori e quella della società civile italiana, che passa attraverso un’integrazione che non si traduce in “assimilazione”, bensì in “condivisione” di alcuni aspetti comuni e “valorizzazione” di certi altri aspetti delle nostre culture d’origine. Insomma, un punto d'incontro fra tradizione e modernità, fra tensione verso l'Europa del futuro e ritorno alle origini. Personalmente ho aderito a questo progetto perché vorrei che fosse riconosciuta l'esistenza di un'immigrazione lontana dalla clandestinità e dal pericolo costante.

Come e' nato il progetto? Da chi è partita l'idea? Da quale esigenze emerge questo progetto?


La redazione iniziale di Yalla era composta soprattutto da studenti universitari e da altri giovani che hanno partecipato al “Programma di Integrazione” lanciato nelle scuole di Milano. Secondo i dati forniti dal Comune due anni fa, Milano ospita 23 mila giovani musulmani. L’obiettivo della rivista è dunque quello di offrire un’opportunità per parlare di quegli aspetti dell’immigrazione che vengono comunemente ignorati, o che difficilmente vengono trattati dai principali media italiani, proprio grazie alle voci delle persone coinvolte in questo processo.

Secondo te come viene comunicato l'argomento "Medio Oriente" o, più in generale, l’argomento "Mondo Arabo" in Italia?


Proprio dopo gli attacchi a Gaza, venerdì 9 gennaio, nella redazione di Vita si è tenuto un incontro che ha aperto nei nostri cuori uno spiraglio di speranza. Attorno allo stesso tavolo s'erano riunite le ragazze musulmane di Yalla Italia e due esponenti dell'Ugei, l'Unione dei Giovani Ebrei Italiani, per discutere sulle ricadute di quello che stava accadendo a Gaza. Personalmente non sono stata presente per cause di forza maggiore, ma i miei colleghi mi hanno riferito che é stato difficile non farsi trascinare dalle emozioni, dal dolore, dalla rivendicazione dei diritti della propria gente. Ma i ragazzi presenti volevano sottrarsi al diktat della guerra, e nell'incontro hanno immediatamente colto l'occasione per rompere l'assedio. Il solo starci era un tirarsi fuori da quella logica senza sbocchi. Anche se magari a Gaza avevi perso un amico o un parente. Anche se il giorno prima qualcuno in piazza aveva bruciato la tua bandiera. Poi, una volta gli uni di fronte agli altri, ci si è accorti che si parlava la stessa lingua e che si desiderava in primo luogo la stessa cosa. Le differenze restavano, anche profonde. I punti di vista erano distanti. Ma anche il solo vedersi e il solo parlarsi, ha reso le nostre differenze e le nostre distanze tutt’altro che “invincibili”. L'altro non era più un nemico. Tant'è che da tutti è arrivata la stessa richiesta: che non finisca qui, che si vada avanti. Abbiamo voluto partire da noi stessi, e quindi dalle relazioni con gli altri, per far spazio alla pace. Questo non significa affatto rinunciare ai propri punti di vista e alla propria storia: partire da se stessi significa non censurare nulla di sé. Per questo ci si batte per il diritto di ciascuno, anche diverso da noi, affinché esca allo scoperto per raccontarsi, senza che la violenza soffochi la differenza.

Quali sono le difficoltà che quotidianamente incontrate nel corso della vostra attività?


Le difficoltà ci sono e ci saranno sempre. La cosa più importante é che diventino un fattore positivo per andare avanti mantenendo una certa qualità. Non siamo dei giornalisti professionisti, e forse è proprio per questo che l’iniziativa ha riscosso tanto successo. Quello che noi vogliamo è presentare la “normalità” di tutti giorni, ma, purtroppo, in Italia la “normalità” non fa notizia.


Finora quali sono state le reazioni del pubblico?



Si sono dimostrate estremamente positive sia in Italia che all’estero. Ci siamo trovati sulla cover del sito di informazione più frequentato di tutto il mondo, quello di “The New Times”, sul quale é stato pubblicato un servizio sul “fenomeno Yalla Italia”, con la firma di Elisabetta Povoledo e dal titolo: “Italian Magazine Tries to Narrow Gap With Muslims”. A marzo l'edizione europea del grande quotidiano americano Herald Tribune ha dedicato un grosso servizio a Yalla Italia. Anche Aljazeera dovrebbe dedicarci un servizio prossimamente. La cosa che personalmente mi stupisce è perché riceviamo tanta attenzione dalla stampa estera e non da quella nazionale.




(Da:  Incontro Mediterraneo, www.incontromediterraneomagazine.ilcannocchiale.it)


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