Terremoto d'Abruzzo. Uno "Stato d'Emergenza" tutto italiano

Marina Melchionda (April 10, 2010)
La recente proiezione del documentario "Comando e controllo. Lo Stato d'Eccezione" alla New School di New York è stata un'occasione importante per avviare una discussione sulle modalità di gestione del "dopo-terremoto" in Abruzzo adottate dal governo Berlusconi. La proclamazione dello "Stato di Emergenza" sarebbe secondo il regista del documentario, Alberto Puliafito, una prassi nella recente storia politica italiana. Ne deriva una domanda importante: quali sono le conseguenze per la nostra democrazia?

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E' il 6 Aprile 2010 e  anche New York non ha dimenticato il terremoto che esattamente un anno fa ha distrutto l'Abruzzo ed il suo centro più importante, l'Aquila.

Alla New School un folto pubblico di italiani ed americani si sono riuniti nel tardo pomeriggio -  su invito del Circolo del Partito Democratico italiano di New York - per ricordare insieme la terribile tragedia, e discutere di come è stata gestita l'emergenza.
L'occasione è stata la proiezione del documentario "Comando e Controllo. Lo Stato di Eccezione" di Alberto Puliafito e prodotto da Fulvio Nebbia.

Trovato l'unico posto libero, ci sediamo insieme al pubblico già in silenzio alle prime scene del film che non ha avuto distribuzione in Italia.

Una telecamera  attenta ci guida attraverso l'unico tra i 170 campi di rifugiati aperto alla stampa, e poi per le strade de L'Aquila, dove ad immagini di monumenti distrutti e in rovina, si alternano quelle di numerosi uomini in divisa, che sia militare o dell'agenzia governativa della Protezione Civile.

Le voci si alternano, voci di persone la cui vita si è fermata in quei "pochi", circa 40, secondi in cui la terra si è mossa violentemente un anno fa, e ne hanno distrutto la casa, le scuole, i luoghi di lavoro; e ucciso parenti, madri, figli, amici, 308 morti in tutto.

Nelle loro voci un misto di paura e rabbia, speranza e rassegnazione. Testimonianze che non sono passate alla TV, non alla RAI almeno, non al grande colosso Mediaset di proprietà del premier Silvio Berlusconi. Voci mute, se non in questo documentario.

Quello che colpisce delle persone che raccontano, e ci mostrano la miseria delle loro condizioni, è che a questa rabbia e rancore si somma anche un senso di contradditoria gratitudine, "per quel che è stato fatto per noi, che comunque siamo stati soccorsi più velocemente dei terremotati di Umbria e Campania anni fa".

Gratitudine...molti di loro hanno un tetto sotto cui ripararsi dopo mesi e mesi di vita in tenda, hanno una casa container o un posto letto in albergo dove mettere bambini e vecchi al caldo.

Non devono  fare le file per lavarsi i panni sotto il gelo dell'inverno che incombe, hanno un bagno in casa ed una cucina. "Non ti rendi conto di quanto siano essenziali alcune cose semplici che sei sempre stata abituata ad avere, come dei panni puliti nel cassetto, o una cena sul fuoco, fino a che non li hai più, e devi far finta che tutto è normale", suggerisce una delle vittime. Lo dice con asprezza, con il bisogno di far sapere la verità, ma chiede poi al regista di non mostrare il suo volto in video, perchè ha paura che se parla troppo non le ridaranno più la sua casa. Gratitudine dunque, almeno in parte, ma basta tutto questo?

E' questa l'aria che si vede respirare nei campi che accolgono gli sfollati, o almeno in questo raccontato nel documentario, l'unico che la Protezione Civile, ai tempi della produzione del documentario, era disposto ad aprire al "pubblico" di giornalisti, accompagnati da una guida, si intende. Gli altri, ci dice il regista, erano chiusi "per motivi di sicurezza".

Viene da chiedersi certo: ma cosa si doveva mettere al sicuro, cosa custodire? Forse la realtà dei fatti?

"Ancora oggi, le cose non appaiono molto migliori", dice il regista.  Riportiamo e riflettiamo sui toni, a dir poco trionfalistici di Guido Bertolaso al Senato nel Febbraio 2010:
Avrete sicuramente visto quale incredibile lavoro abbiamo realizzato, costruendo le case antisismiche in 80-90 giorni, in 19 aree della città dell'Aquila, dando così la possibilità di entrare in una casa a oltre 18.000 aquilani che l'avevano completamente persa.

Secondo i dati ufficiali della Protezione Civile (fermi al 29 gennaio), gli aquilani entrati nelle case del piano C.A.S.E. e nei Moduli Abitativi Provvisori sono invece 12.803.

Se i numeri parlano, siamo ancora lontani dai 18.000 promessi. Che, per inciso, secondo le promesse avrebbero dovuto essere alloggiati prima entro settembre (erano poco più di 4.000), poi entro novembre.

E come dimenticare i 10mila ancora assistiti fra alberghi (6.462), appartamenti sulla costa abruzzese (2.376) e caserme (1.191)?

Da qui lo scopo ultimo del documentario: denunciare gli strumenti ed i modi utilizzati dal governo per fronteggiare la sfida della ricostruzione. Tutti basati su eccezioni. Il primo provvedimento stanziato in merito, ad esempio, fu un decreto legge, che "è un provvedimento provvisorio avente forza di legge, adottato in casi straordinari di necessità ed urgenza dal Governo", secondo l'art. 77 della Costituzione della Repubblica italiana. Con esso si stanziavano 8 miliardi di euro per l'Abruzzo, di cui 1.5 per l'emergenza e 6.5 per la ricostruzione. Con il decreto si inaugurava "Lo Stato d'Emergenza", che successivamente legittimava il governo ad una serie di misure che trovarono il disaccordo dell'opinione pubblica nazionale ed internazionale, nonchè dell'oppisizione parlamentare.

 Tra queste, la trasformazione della Protezione Civile in Società per Azioni.
Fabrizio Gatti aveva scritto al riguardo sull'Espresso che si tratterebbe di  "Una scorciatoia che unita alle ordinanze di urgenza e ai poteri di emergenza di cui gode la Protezione civile, trasformerà Bertolaso, 60 anni il 20 marzo prossimo, in un vicerè dalle mani d'oro a completo servizio del presidente del Consiglio di turno. Come già succede ora, ma con meno obblighi da rispettare".

All'emergenza del terremoto, se ne sommerebbe dunque un'altra: quella del progressivo indebolimento della prassi di governo democratica.  "Non volevo che il mio film passasse per il solito prodotto cinematografico anti-Berlusconiano. Il caso dell'Abruzzo è soltanto l'ultimo: negli anni precedenti, altri governi hanno utilizzato simili strumenti e mezzi ai confini di ogni logica democratica, scavalcando il parlamento e l'opinione pubblica e centralizzando il potere nelle mani dell'esecutivo", ci dice il regista.

Il dibattito che si è aperto dopo la proiezione  tra i presenti in sala e gli speakers Anna di Lellio, professoressa alla New School, il giornalista Alexander Stille, e il regista Alberto Puliafito si focalizza subito sull "interpretazione del potere" quasi legittimata dall'abuso dello strumento "Stato di Emergenza", sui possibili rimedi e risposte alla deriva democratica italiana che il caso abruzzese mette in luce.

Abbiamo avuto modo di chiedere un'opinione al giornalista Alexander Stille, autore di diverse opere ed articoli sull'Italia e sulla sua politica. Tra questi, The Sack of Rome: How a Beautiful European Country with a Fabled History and a Storied Culture Was Taken Over by a Man Named Silvio Berlusconi, pubblicato nel 2006 dopo un lungo periodo di residenza a Milano. "Credo che in Italia lo 'Stato d'Emergenza' sia uno strumento così facilmente applicabile perchè ormai è venuto a mancare uno dei pilastri fondamentali che legittimano un governo, quello della rappresentatività. Questi non rappresenta più l'opinione pubblica, sia perchè i poteri del parlamentano si stanno progressivamente deteriorando a favore dell'esecutivo; sia perchè una comunicazione trasparente non è più possibile, dato che i media principali sono monopolizzati dal governo stesso. Se manca questo, non c'è possibilità di controllo, nè in Abruzzo nè in altri ambiti".

La soluzione secondo Stille sarebe quella di promuovere lo sviluppo e l'utilizzo di nuovi mezzi di comunicazione, soprattutto Internet, per agire "dal basso", ed in maniera risolutiva.

"Bisogna smettere di prestarsi al gioco di Berlusconi. - dice Stille  - Se vuole controllare le TV e comparire su tutti i canali 10 volte in più ai suoi oppositori, ben venga, noi utilizzeremo altri mezzi. Come giornalista e scrittore sono sempre stato abituato a guardare alla realtà dei fatti. Berlusconi intende invece come 'reale' solo quello che si può vedere, e appare in TV. Ma questo documentario ci dimostra che c'è ben altro oltre quello, c'è la gente de L'Aquila sfiduciata e impaurita".

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