Articles by: Gennaro Matino

  • Fatti e Storie

    Papa Francesco: “Mai più guerra!”


    Pregare per la pace è un dovere imprescindibile per chi crede in Dio. Papa Francesco ha annunciato che  sabato prossimo sarà giornata di digiuno per invocare pace, per supplicare il mondo dei potenti a trovare ogni mezzo per scongiurare un intervento in Siria, a riscoprire  la forza del dialogo. Invito raccolto da uomini di pensiero, di cultura, di strada, rilanciato dalla stampa internazionale con singolare evidenza.


    Ogni uomo di buona volontà sa di dover lottare per la realizzazione della pace. La pace riguarda gli uomini nella loro diversità e chiama tutti ad un impegno coraggioso in sua difesa, perché venga promossa in ogni luogo abitato dalla vicenda umana, e ancor più interpella tutti quando essa è seriamente a rischio.


    Alla fine della II guerra mondiale, il mondo, ancora attonito per le troppe atrocità vissute, si unì in un'unica speranza: “Mai più guerra!” Una speranza, allora come oggi, purtroppo tradita dall’egoismo e dagli interessi di chi non ha scrupoli, da chi offende impunemente la dignità degli ultimi per i propri guadagni, da chi non comprende che con la guerra tutto è perduto. Mai avremmo immaginato, dopo più di sessant’anni dall’ultimo conflitto, di dover assistere a nuovi massacri per guerre ingiuste.


    Mentre si continua a discutere sulle presunte ragioni di un intervento in Siria, ultimo tra tanti che, più degli altri, rischia di aprire scenari di guerra globale, mentre ci si interroga se è giusto o meno rispondere con un ‘intervento mirato’ alle atrocità perpetrate dal governo siriano e mostrare le foto delle vittime dei gas, dei bambini feriti dal volto sgomento, terrorizzato, mentre alla televisione scorrono veloci le immagini delle rovine di Damasco, quasi si dimentica che in quegli stessi istanti la gente muore, come muore il mondo intero ogni volta che la pace viene oscurata dalla violenza, ogni volta che al di là della presunta giustizia l’unica cosa evidente è il dolore.


    La lacerante condizione di un mondo che ancora vive la tragedia della guerra e il rischio che si possa estendere su larga scala non può che vedere uniti gli uomini giusti che, diversamente orientati ma unitamente protesi verso il bene, sentono il bisogno di denunciare quanto siano ancora aperte e sanguinanti le piaghe della violenza delle armi, fonte di sofferenze e di povertà, di mancanza di lavoro e di dignità e di minacciosi conflitti sempre in agguato. Per questo Papa Francesco invita alla preghiera, per questo un digiuno come pellegrinaggio di senso, protesta contro tutto ciò che divide gli uomini, contro un mondo che, mentre globalizza i mercati, marca le distanze tra culture, religioni e popoli; proposta di pace che nasce dal cuore di tutti gli uomini di buona volontà perché solo la pace, come l’arcobaleno, potrà dipingere con colori nuovi la storia dell’umanità. Una preghiera, un grido di migliaia di uomini e donne che con il Papa sfilano nelle strade del mondo alla ricerca di una nuova speranza: “Mai più guerra!”.
     
     * Gennaro Matino  è docente di Teologia pastorale. Insegna Storia del cristianesimo. Editorialista di Avvenire e Il Mattino. Parroco della SS Trinità. Il suo più recene libro: Economia della crisi. Il bene dell'uomo contro la dittatura dello spread”

     
     
     
     

  • Opinioni

    Papa Francesco in Brasile. "Fare casino": un'altra cosa



    “Fare casino”, così il Papa si è espresso alla Giornata Mondiale della Gioventù in Brasile. Sintesi efficace per parlare di rivoluzione  in perfetto gergo giovanile. Parola non in uso fino ad ora nelle protette stanze della Chiesa Vaticana. Nei documenti ufficiali ancora cerca di edulcorare il termine usando parafrasi per proteggere il passato: chiasso, clamore... Ma casino è un altra cosa, dice distanza tra il delicato e elegante linguaggio ufficiale e il coraggio di oltrepassare il confine per calarsi tra la gente, per abbracciare le speranze e le sofferenze dell’uomo e interessarsi di ciò che all’uomo interessa. Casino è dire rivoluzione in tempo di parole di fumo e certo di evangelica rivoluzione si tratta.


    Riproponendo la spada che il Maestro di Galilea sognava che impugnassero i giusti, chiede che finalmente chi è nella verità si schieri dalla parte degli ultimi, dei diseredati, di chi vuole che il mondo cambi, un mondo in cui ognuno abbia lo spazio per difendere ed affermare la propria dignità. Papa Francesco usa parole non protette, fuori dal canone ufficiale e per questo acchiappa anche i più diffidenti ed entusiasma chi forse da quelle parole si sente rappresentato.


    Ma mentre il bianco pastore avanza tra le folle immense di chiassosi ragazzi, mi sovviene una domanda: le parole sono coraggiose quando al rumore del loro suono accompagnano il fragore di un progetto realistico di trasformazione del mondo. Quale progetto ha la Chiesa da proporre e con quali strutture? Basta la parola del Papa entusiastica ed autorevole per lanciare la sfida di questa trasformazione? E basta dire che il Vangelo è il progetto che la Chiesa propone, senza rischiare di diventare fumosi? Il nostro tempo è carico di sofferenza e la crisi in atto non è solo crisi di denaro, è assenza assoluta di strade proposte da attraversare, di progetti realizzabili, di fatti che possano riportare l’uomo abbandonato a se stesso alla verità di una vita vissuta in dignità.


    Le parole da sole possono finire per diventare nemiche della trasformazione possibile, perfino dannose al Vangelo se non raggiungono lo scopo che alla motivazione del cuore offrano progetti credibili e realizzabili. Ai giovani senza lavoro, a quelli sfruttati alle strade del mondo, traditi dagli inganni di una proposta illusoria che vorrebbe tutti felici nella logica del profitto, quale società offriamo, quale modello di vita, quale economia possibile, quale famiglia, quale politica, quale futuro. Gli entusiasmi si assopiscono dopo la festa, resta la memoria del banchetto che può diventare perfino indigesto, serve alle parole il riscontro di un progetto, di un’idea percorribile, di una nuova strada da percorrere.


    Le parole di Francesco possono essere un felice viatico, una straordinaria provocazione al cambiamento, ma la Chiesa ha altri strumenti ed altre possibilità da mettere in campo e per poterlo fare a una gioiosa giornata della gioventù, bisogna far seguire un’assise mondiale sul futuro del pianeta che, sotto il peso dell’egoismo dei forti, non si accorge che forse altre rivoluziono non pacifiche sono alla porta. Il tempo è maturo perché la spada di Cristo venga finalmente impugnata non solo per dire parole capaci di sorreggere i giovani in un giornata indimenticabile, ma che diano valore alla vita intera, per ogni uomo, per tutto l uomo.
     
     * Gennaro Matino  è docente di Teologia pastorale. Insegna Storia del cristianesimo. Editorialista di Avvenire e Il Mattino. Parroco della SS Trinità. Il suo più recene libro: Economia della crisi. Il bene dell'uomo contro la dittatura dello spread”


  • Fatti e Storie

    Papa Francesco. Dalla 'fine del mondo' a Lampedusa

    "Chiediamo perdono per l'indifferenza, per chi si è chiuso nel proprio benessere che porta all'anestesia del cuore, per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno portato a situazioni che conducono a questi drammi. Perdono Signore".

    Francesco, il Papa arrivato dalla fine del mondo, visita Lampedusa per dare voce agli esclusi della terra, migranti, clandestini, uomini e donne, vecchi e bambini, un popolo di disperati in cerca di patria.

     Il primo viaggio pastorale del nuovo pontefice non poteva che essere in linea con la sua rivoluzione linguistica, pronta a fare del Vangelo non solo un annuncio ecclesiastico, gergo da addetti ai lavori, ma frontiera di pane da condividere con chi ha perso il pane necessario, pane come speranza di vita, passata con la semplicità di un verbo che riesce ad acchiappare anche i più lontani, affascinati dalla semplicità di parole proprio per loro, scritte per raccontare la loro drammatica ed esaltante storia.

    "Siamo caduti nella globalizzazione dell'indifferenza", così Papa Bergoglio nell'omelia della messa. "La cultura del benessere che ci porta a pensare a noi stessi ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono illusioni del futile, del provvisorio, che portano alla globalizzazione dell'indifferenza".

    Molti osservatori sono rimasti sorpresi e spiazzati dalla scelta del pontefice di partire proprio da Lampedusa per iniziare il suo ministero petrino fuori le mura di Roma, spiazzati non solo dalla destinazione ma dalla irritualità data dall’annuncio stesso e dalla organizzazione del viaggio. Francesco ha deciso tutto da solo, forse proprio per impedire a chi avrebbe voluto consigliarlo diversamente, in forza di ragioni di opportunità logistiche e politiche, senza passare per le solite procedure ha annunziato alla stampa il suo desiderio di partire.

    Arrivato a Lampedusa ha consegnato alle onde una corona di fiori in memoria di tutte le vittime di una guerra ingiusta mai dichiarata, una guerra vera, tuttora in corso, che lascia inghiottire dal mare, nell’indifferenza assoluta di gran parte del cosiddetto mondo civilizzato, figli innocenti che avrebbero voluto trovare altrove quello che era stato loro rubato, sottratto, privato in casa propria. In fuga dalla fame, dalle carestie, dai despoti di turno al soldo di governi occidentali, pronti a fare affari con i tiranni, ma sordi al pianto delle loro prede.

    Il Papa ha pregato per loro, con loro, con chi ha perso la dignità di uomo dimenticato da chi uomo ormai non lo è più perché sordo al grido di giustizia che sale dalle piaghe di una storia compromessa da secoli: colonialismo, sfruttamento contro natura di territori e popolazioni, razzismo, schiavismo.

    Le ragioni della protezione dei sacri confini, impongono alla politica dei paesi ricchi di regolamentare i flussi migratori, cosa che certamente va fatta ma senza mai dimenticare che per legge di natura chi è oppresso va aiutato ovunque si trovi, chi è disperso ovunque deve essere accolto, e a chi bussa alla porta comunque deve essere data una risposta.

    Irrituale e inaspettato il viaggio di Francesco nell’isola degli abbandonati, ma dove avremmo voluto che andasse, dove lo avremmo inviato il vicario di Cristo? Nelle stanze dorate dei potenti della terra, nei salotti comodi dei benpensanti, sui palcoscenci osannanti di ricchi teatri mediatici?

    Il viaggio del Papa, il suo primo, è iconico del suo intero viaggio pastorale, volontà di ritrovarsi su quel confine che resta deserto dai più per dare voce a chi voce non ha, confine, terra di nessuno abitata dai senza terra di ogni dove e di ogni condizione.

    Confine dove si trova a suo agio il messaggero di buone notizie pronto a dare ragione della sua speranza dove la speranza è persa, pronto a ricordare a se stesso e a chi le avesse dimenticate, nella Chiesa e fuori le sue mura, le parole del Maestro di Galilea: ero forestiero e mi avete ospitato.

    Francesco nel suo gesto ha dato inizio ad una nuova modalità di fare Chiesa che non solo muove consensi ma anche feroci critiche per carità senza infingimenti, come quelli arrivati al Papa da ambienti politici italiani che hanno interpretato la sua presenza a Lampedusa come una inqualificabile intromissione in fatti. di politica interna.

    Ben venga un Papa controcorrente nella Chiesa e fuori le sue mura a condizione che le parole e i fatti profetici superino il tempo dell’avvenimento e si trasformino in struttura permanente di giustizia. Come a Lampedusa.

    * Gennaro Matino  è docente di Teologia pastorale. Insegna Storia del cristianesimo. Editorialista di Avvenire e Il Mattino. Parroco della SS Trinità. Il suo più recene libro: Economia della crisi. Il bene dell'uomo contro la dittatura dello spread”

  • Art & Culture

    Visiting the Vatican Beyond the Beaten Path

    Two crossed keys are on the Holy See and Vatican City’s coat of arms to commemorate the keys of the kingdom, which Jesus of Nazareth, the Master of Galilee, gave to the apostle Peter, as Catholic Christians believe, in order to guide his Church, his flock. Two keys, with their teeth turned up to the sky and their handles down, in the hands of the Vicar of Christ, the earthly representative of God. The golden one meant to symbolize the spiritual power; the silver one temporal power.

    Despite the fact that his territory has long since been restructured; the Roman Pontiff is still a head of state who retains his sovereignty in tact. Splendor of a glorious past still lends its charm to Papal Rome and celebrates the dual power of spiritual and temporal through the majesty of its edifices, churches, and monuments, erected in everlasting memory.

    Artists, gathered over time from every part of the world, arrived in Rome to extol the achievements of the popes and the biblical adventures of holy personages. More concerned with creating a legacy for the sake of posterity, the artists, inspired by religious fervor, gave life to a mix of sacred and profane in the Roman Vatican, which still fills the visitor with emotion, generating reflections of meaning. One might ask, “What does all this have to do with faith?”

    For many tourists, a visit to the Vatican goes no further than the noise of the crowd, which impatiently awaits entry into St. Peter’s, or ceases after the few photos taken inside the Sistine Chapel. But, if you manage to surpass the obvious, you can take part in a spectacular mass set against the baroque backdrop, where the principal elements of the scenic design are water, wind, and a cohort of angels, who conceal a universe of mystical symbols behind their anthropomorphism.

    The triumphant walkway of the Sant’Angelo Bridge is protectively flanked on either side by angels that seem to lead to another tourist site. Gian Lorenzo Bernini, sculptor to the papacy and the genius behind the colonnades of St. Peter’s Square, took it upon himself to create this marvel in the 17th century – a symbolic passage towards the Holy City.

    The angels depict the Passion of the Christ by holding in their hands instruments from the Passion, such as whips and crosses; they act as reminders to those, who must bring themselves before the glorious powers that be, that the power of the Church lay in Christ’s martyrdom. And perhaps, it will have been this widespread sentiment that swept through St. Peter’s Square, and the squares of the world, when, from the central balcony of St. Peter’s Basilica, the name of the new pope, elected after the resignation of Benedict XVI, was announced.

    He chose to be called Francesco, a name never uttered in St. Peter’s. A name that rang out clearly to the ears of those awaiting the new pope. Francesco constitutes a world that unveils himself surprisingly of the ordinary and beckons the Church back to its original revolutionary force. He summons the Church to its duty of putting on an apron and serving, in order to give justification for the hope that is within it. The hope to shout the truth from the rooftops, to tenderly embrace the afflicted, to open the closed windows of egoism to the compassion that saves.

    Pope Francesco allowed himself to be seen by the world, remaining silent in front of the incredible expanse of the silent crowd that awaited his speech. Without grandiose language, he filled the piazza below, and those of the world, with unexpected words to those awaiting his benediction, when he instead asked for the blessing of the people. It was a powerful gesture that went beyond the symbolic. It demonstrated compassion from one who has power and who knows that his power comes from God, but also that it would be blasphemy if that power was not used to serve mankind with love. Pope Francesco , who came from so far away, almost from the ends of the world, immediately wanted to underscore that his mission is that of a bishop’s – a pastor with the people and among the people.

    Francesco is a name that I dreamed of for a pope ever since I was a boy. I thought that only the name of the impoverished Francesco d’Assisi for a pope would have been able to initiate a new course in the history of the Catholic Church. Francesco d’Assisi has come to be considered, and rightly so, the saint most representative of the past millennium. Even when a deeply secular newspaper like the Times had to choose to whom they would dedicate their cover story, commemorating the man of the millennium, they had no doubts about dedicating it to Francesco of Assisi.

    His story generated admiration for a peaceful revolution that inspires all of us and makes us reflect; for his is a personal story that stands for the choice of embracing poverty. Further still, in transforming his position of social privilege into a new opportunity for encounters, he devoted himself entirely, giving more than his material wealth, to the most humble. But in reality, his profound conversion is intrinsically linguistic, revolutionary in the symbols and in the words of which few were popular in the Church at the time. The majority of his contemporaries in Europe were conventional believers, but not evangelized.

    The Franciscan revolution, the renewed revolution of Europe’s evangelization, is really the choice of symbolic, structural, linguistic, and interpretative places in order to better pass along the proclamation of the Word. Many have demanded that the Church overcome its scandals, follow a life more in keeping with its mandate, continue to proclaim the truth of the Word, be more present in the painful wounds of the time, and demand an extraordinary force of the Word’s adaptation to the changing affairs of humanity.

    While the Church requires an internal purification, the Holy Spirit has given us a pope named Francesco. The world has been longing for this moment. To those who thought that the Church was already a relic of the past, a prisoner of its problems, to those who tried in every way, within and beyond its walls, to transform it into a field of shameful battles, today they have the happy response of the people for that name which is shouted to the heavens. A name that has kindled the hope of believers and that can express words of innovation to the world.

    The visitor, either a believer or non-believer who will soon arrive in Vatican City, knows that in order to understand the majesty and the contradictions of St. Peter’s Square, which is among the largest in the world, s/he had to first cross the Sant’Angelo Bridge in order to focus, in a single glance, on the wonder of an enchantment. The significance of an event passes through its comprehensive meaning together with its basic one, because to be spectators of only one part means to not enter fully into the understanding of the whole and to remain outside of the entire script.

    Now, even Pope Francesco is part of the thousand-year old history of the Church, which, from time immemorial, walks tirelessly through grace and sin. The visitor to Papal Rome may perhaps be quick to judge the inadequate popes, but s/he will surely be moved by the lives of those instead who are the heroes and saints.

  • Opinioni

    In Vaticano per una visita diversa


    Due chiavi incrociate sullo stemma della Santa Sede e della Città del Vaticano a ricordare le chiavi del regno che Gesù di Nazareth, il Maestro di Galilea, aveva consegnato all'apostolo Pietro, come credono i cristiani cattolici, per guidare la sua Chiesa, il suo gregge.


    Due chiavi, con i congegni rivolti in alto verso il cielo e le impugnature verso il basso, nelle mani del Vicario di Cristo: quella d'oro a simboleggiare il potere spirituale, quella d'argento il potere temporale. Già, perché il romano pontefice, nonostante il suo territorio sia stato da tempo ridimensionato, è comunque ancora un capo di stato che mantiene intatta la sua sovranità. Splendore di un passato glorioso che ancora veste di incanto la Roma papale e celebra il doppio potere nella maestosità dei palazzi, delle chiese, dei monumenti eretti a perenne memoria. Artisti, convenuti nel tempo da ogni parte del mondo, sono arrivati a Roma per raccontare le gesta dei pontefici e la biblica avventura dei personaggi sacri.


    Preoccupati più di consegnare il loro genio ai posteri, che ispirati da religioso furore, hanno dato vita a un misto di sacro e profano che nella Roma Vaticana riempie ancora di emozione il visitatore, provocando riflessioni di senso. Qualcuno potrebbe domandarsi: quanto c'entra tutto questo con la fede? Per molti turisti la visita al Vaticano si ferma al rumore della folla che attende impaziente l'ingresso in San Pietro, o a pochi scatti nella Cappella Sistina, ma se si riesce a superare l'ovvietà si può diventare protagonisti di una spettacolare messa in scena barocca, i cui principali elementi della scenografia sono l'acqua, il vento e una coorte di angeli che dietro al loro antropomorfismo celano un universo di simboli mistici.


    La via trionfale di Ponte Sant'Angelo è a destra e sinistra protetta da angeli che sembrano guidare ad altra visita. Il Bernini, scultore dei Papi, autore del colonnato di san Pietro, si prese la responsabilità di creare questa meraviglia nel XVII secolo: un passaggio simbolico verso la città Santa. Angeli che raccontano la passione di Cristo, segni di flagelli e croci nelle mani, memoria per chi deve portarsi dinanzi ai palazzi della gloria a ricordare che il potere della Chiesa è nel suo martirio. E forse sarà stato questo il sentimento più diffuso che ha attraversato piazza San Pietro, e le piazze del mondo, quando dal balcone centrale della basilica è stato pronunciato il nome del nuovo Papa, eletto dopo le dimissioni di Benedetto XVI.

     
    Si chiamerà Francesco, mai nome pronunciato in San Pietro risuonò chiaro alle orecchie di chi aspettava il nuovo Papa. Francesco è un mondo che si svela alla sorpresa dei semplici e richiama la Chiesa alla sua originaria forza rivoluzionaria, la richiama al dovere di mettere il grembiule e di farsi serva per dare ragione della speranza che è in lei. La speranza di gridare la verità dai tetti, di carezzare di tenerezza gli afflitti, di aprire le finestre chiuse dell’egoismo alla carità che salva. Papa Francesco si è lasciato guardare dal mondo, rimanendo muto di fronte all’incredibile distesa di folla che ammutolita aspettava il suo verbo. Senza parole roboanti ha riempito di suoni inaspettati la piazza sottostante, e quelle del mondo, chiedendo, a quanti aspettavano la sua benedizione, la benedizione della gente. Gesto potente che va oltre il segno, carità di chi ha il potere del servizio, di chi sa che il suo potere gli viene da Dio, ma sa anche che sarebbe bestemmia se quel potere non fosse usato tutto per servire con amore gli uomini. Papa Francesco, venuto da lontano, quasi dai confini del mondo, da subito ha voluto sottolineare che la sua missione è quella di Vescovo, pastore con la gente e tra la gente.


    Francesco è un nome che ho sognato per un Papa da quando ero ragazzo, pensavo che il solo nome del poverello d’Assisi per un pontefice avrebbe potuto dare inizio a un nuovo corso per la storia della Chiesa. Francesco d’Assisi a ragione viene considerato il santo più rappresentativo del millennio passato, tanto che perfino un giornale profondamente laico come il Times, quando ha dovuto scegliere a chi dedicare la copertina per indicare l’uomo del millennio, non ha avuto dubbi nel dedicarla a Francesco. La sua storia provoca ammirazione per una rivoluzione pacifica che trasversalmente commuove e fa riflettere, storia intimamente rappresentata dalla scelta di abbracciare sorella povertà e trasformare la sua condizione di privilegio sociale in una nuova opportunità di incontro, donando se stesso, più che le sue sostanze, agli ultimi. Ma in realtà la sua profonda conversione è intimamente linguistica, rivoluzionaria nei segni e nelle parole che poco erano frequentate nella Chiesa del tempo.


    La maggior parte dei suoi contemporanei in Europa erano credenti formalmente, ma non evangelizzati. La rivoluzione francescana, rivoluzione di nuova evangelizzazione dell’Europa, è proprio la scelta di luoghi simbolici, strutturali, linguistici, interpretativi per meglio passare l’annuncio del Verbo. Da più parti si chiede alla Chiesa di superare gli scandali, di seguire una vita più consona al suo mandato, continuare ad annunciare la verità del Verbo, di essere più presente nelle piaghe dolorose del tempo e si chiede anche una straordinaria forza di adattamento della Parola alle mutate vicende umane, mentre necessita una purificazione al suo interno, lo Spirito Santo ci ha donato un papa che si chiama Francesco. Il mondo ha aspettato con ansia questo momento e a chi pensava che la Chiesa fosse ormai un fatto passato, prigioniera dei suoi problemi, a chi ha tentato in tutti i modi, dentro e fuori delle sue mura, di trasformarla in campo di indegne battaglie, oggi ha avuto la risposta felice della gente per quel nome gridato al cielo. Nome che ha carezzato la speranza dei credenti e che può dire parole di novità al mondo.

     
    Il visitatore credente o non credente, che presto arriverà nella Città del Vaticano, sa che per comprendere la maestosità e le contraddizioni di piazza san Pietro, tra le più grandi del mondo, ha dovuto attraversare prima il ponte Sant'Angelo per poter concentrare in un solo sguardo la meraviglia di un incanto. Il senso di un avvenimento passa attraverso il suo significato globale e semplice insieme, perché essere spettatori di una sola parte significa non entrare pienamente nella comprensione del tutto e rimanere fuori dall'intero copione. Ora anche Papa Francesco fa parte della storia millenaria della Chiesa, che da sempre cammina instancabile attraverso grazia e peccato. Il visitatore della Roma dei Papi forse sarà pronto a giudicare i pontefici inadeguati, ma potrà commuoversi per la vita di quelli eroici e santi. 
    Gennaro Matino


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