Articles by: Maria rita Latto

  • Fatti e Storie

    Frank Jerky e “Greenback Boogie”

    Frank Jerky ...  Dietro questo buffo nome americano c’è un ragazzo romano, Francesco Carnesecchi, ventiseienne videomaker che fa parte della redazione di i-Italy. La collaborazione col gruppo statunitense degli Ima Robot e la realizzazione del video “Greenback Boogie”, dal loro ultimo singolo, ha rappresenato per lui un’occasione importante per mostrare la sua creatività.  L’intervista nel corso di un suo periodo di permanenza a Roma naturalmente si svolge all’insegna dell’allegria e della semplicità, anche se dalle sue parole si percepisce una determinazione ed un grande amore per il lavoro che fa.


     Gli domando subito come nasce la collaborazione con Ima Robot.

    Ho fatto tutto io: ero un loro fan da tempo, mi piacevano molto. Poi un giorno, ascoltando una loro canzone, non quella del video però, mi è venuto in mente di fare questo tipo di clip, che raccontava situazioni diverse all’interno di bagni. Era un’idea che avevo già in mente da anni, solo che non la volevo “bruciare” collaborando con una band poco famosa. Gli Ima Robot in Italia sono praticamente sconosciuti, mentre in America sono un gruppo popolare, anche se il periodo di massimo splendore lo hanno avuto intorno agli inizi del 2000. Insomma, ascoltando i loro ultimi brani, quello che più mi ha colpito, non a livello di testo ma di sound, è stato “Greenback Boogie”. Sentendolo ho iniziato a “vedere” i movimenti delle camere che passavano da un bagno all’altro.  Ovviamente immaginavo tutte situazioni unconventional, scorrette, o estreme. Poi ho iniziato a scrivere il video dettagliatamente, bagno per bagno, situazione per situazione. In seguito ho contattato il loro agente trovando la mail via internet e gli ho fatto leggere il treatment. Mi ha risposto dopo due settimane, quando ormai mi ero convinto che non fosse interessato, e mi ha detto che gli era piaciuta l’idea, che ne voleva parlare in persona. Abbiamo preso appuntamento e sono andato a Los Angeles dove ho incontrato anche la band. Sono apparsi subito entusiasti dell’idea ed hanno accettato la mia proposta di collaborare con loro. Così ho fatto tre mesi di pre-produzione e a metà maggio 2011, in due giorni, ho girato il video.


    Ti hanno dato delle indicazioni?

    No. Ho avuto carta bianca. Totale. In questo sono stati fantastici. Venivano da un periodo di silenzio della loro carriera e sono rimasti colpiti dal fatto che un loro fan italiano, mezzo matto come me avesse proposto loro di fare un video. Si sono fidati. Ci siamo fidati reciprocamente. E l’idea, comunque, era già registrata quindi nessuno poteva “copiarmi”. Io ho curato la regia, mentre Vittorio Guidotti ha montato il video e Stefano Lemon, che è un visual designer, si è occupato della grafica, dei poster, del sito.…


    Ma come ti è venuta in mente l’idea dei bagni?

    Anni fa, ad Amsterdam avevo comprato un poster che ho ancora in camera e che ritrae una serie di bagni pubblici. In ognuno di essi c’è una situazione diversa. Ho sempre pensato che quel poster sarebbe diventato un cortometraggio, un video musicale, ma era sempre un’idea astratta, diventata però concreta quando ho iniziato ad ascoltare gli Ima Robot. Molti dei personaggi del mio video sono chiaramente ispirati dal poster, tipo il poliziotto che sniffa oppure un coniglio gigante che fa pipì e che nel mio filmato è diventato un pollo. Molte situazioni, comunque, sono ispirate al poster.

    Nel tuo video ci sono tante situazioni, varia umanità. Ma c’è una simbologia? Ammetto che sia facile “dopo” trovare tanti significati….

    Si cerca sempre di intellettualizzare le cose. Io sono cresciuto guardando il cinema americano ed il mio video subisce inevitabilmente, come del resto accade in tutta la società occidentale, l’influenza americana. Il mix di personaggi sia realistici sia cinematografici non è altro che il risultato di quel che io ho visto in televisione sin da bambino.

    Guardando il filmato, in effetti, c’è l’impressione che ci sia tanto di te, delle tue suggestioni, della tua formazione…

    Si, in ogni bagno ci sono io e le mie suggestioni oniriche, fantasiose, estreme. C’è tutto il mio mondo, fin dalla nascita.


    E con le storie come hai fatto? Come sei riuscito a trovarne così tante?

     

    Avendo così tanti bagni e di conseguenza tanti personaggi, ad un certo punto ho chiesto aiuto ai miei contatti di Facebook. Ero talmente fuso con tutte queste storie che s’intrecciano, con tutti quei bagni e con la canzone che era lunga! Quindi, ho mandato un messaggio globale a tutti i miei contatti chiedendo a ciascuno i primi personaggi che venivano loro in mente, quelli che avrebbero “visto” in un bagno pubblico: mi hanno mandato di tutto! (ride) Molti li ho presi, come ad esempio la suora che fa pipì in piedi. Parecchi sono stati geniali.

    Guardando il video mi sono divertita a trovare riferimenti cinematografici. Ad un certo punto mi è sembrato di riconoscere la valigetta di Pulp Fiction. E poi ho creduto di vederci anche i film horror, CSI, i musical. La suora che balla ricorda Sister Act. Ci vedo anche il Rocky Horror Picture Show….

    Mi risponde ridendo: Sì, ci sono anche dei momenti molto “tarantiniani”. Per la suora che balla non mi sono ispirato a Sister Act. Mi piaceva in generale l’idea di far ballare tutti i personaggi. Ho fatto ballare anche Hitler! 
     

    A proposito: perché Gesù ammazza Hitler? C’è un qualche simbolismo almeno in questo?
     

    Ride ancora: No, non è per niente simbolico, sono la persona meno religiosa al mondo. Mi piaceva l’immagine. Sono stato ispirato dalla lettura di un fumetto chiamato Jesus hates Zombies dove si racconta di un Gesù dei giorni nostri che va in giro con una mazza da baseball ed un mitra ed uccide tutti gli zombies. Mi piaceva l’idea di un Gesù col mitragliatore in mano.

    E per i bagni come hai fatto? Li hai ricostruiti?

    I bagni veri sono due, li abbiamo ricostruiti in una warehouse a Williamsburg, Brooklyn.  Per fortuna era la casa del mio scenografo, Federico Massa, così abbiamo potuto lavorare liberamente. I bagni ricostruiti erano uno adiacente all’altro. Con il computer poi li abbiamo moltiplicati e abbiamo lavorato sui movimenti di camera. Tutto questo grazie a Vittorio Guidotti che è stato il mio montatore.
     

    Durante la lavorazione che succedeva in questi bagni? Immagino vi siate divertiti da matti…

    Ride ancora adesso solo a ripensarci: Ci siamo divertiti da morire. In tutte le riprese con l’audio ambiente si sentono solo le mie risate, per non parlare di quelle dei miei collaboratori.


    Dovresti creare un backstage…

    Ho cinque ore di “girati” e sicuramente qualcosa ci inventeremo. E comunque ci siamo divertiti tantissimo. C’erano attori professionisti ma anche amici miei. Per questi ultimi ero un po’ preoccupato, per come avrebbero potuto reagire davanti alla telecamera, dal momento che non sono attori professionisti. Però il bagno li ha aiutati tantissimo perché essendo chiusi non avevano alcun contatto con noi addetti ai lavori, con le telecamere in maniera diretta, quindi sono stati disinibiti all’ennesima potenza.


    Tu stavi sopra, in alto?

    No, la camera stava sopra. Io ero al monitor. Gli attori erano completamente isolati. Lo so perché anch’io ho partecipato al video con un piccolo cameo, quindi so come ci si sentiva: era come stare da soli in bagno. Tra l’altro, erano talmente belli quei bagni che ti veniva voglia di usarli (ride).

    Allora hai fatto un casting con attori professionisti e non?

    Quello del casting è stato un giorno lunghissimo e intenso, fatto a New York, alla Casa Italiana Zerilli-Marimò, dalla mattina alla sera.  Sono venuti attori professionisti, studenti di teatro, tanti che avevano risposto al nostro annuncio. Invece per alcune parti più “delicate”, come poteva essere quella dello zombie che aveva bisogno di due ore di trucco, o per le scene dove veniva insanguinato tutto ho scelto degli amici.


    Mi hanno colpito molto i costumi: erano parecchi ed anche di vario tipo, da quelli tradizionali a quelli più “stravaganti”. Dove li hai trovati?

    La maggior parte del budget è stata spesa proprio in costumi perché i personaggi sono tantissimi, circa 85. Parecchi li abbiamo comprati su internet al minimo prezzo possibile, altri, come quello di Hitler, sono stati affittati. Per fortuna il mio produttore e aiuto regista, Gioele Donnamaria frequenta la NYU, dove mettono a disposizione degli studenti un gigantesco magazzino con migliaia di costumi e molto lo abbiamo trovato là. Alcuni attori avevano già nel loro guardaroba dei costumi, tipo il doppiopetto nero stile Man in Black, e li hanno messi a disposizione. Devo confessarti che abbiamo avuto difficoltà per i dettagli più impensabili e più banali, come la valigetta ventiquattrore che ci ha fatto impazzire: non si riusciva a trovarne una. Strano ma vero. Per i tatuaggi del tizio con la bandana siamo ricorsi a delle calze, sono tatuaggi finti.


    Cosa ti resta del video, che impressione hai, adesso che è tutto finito?

    Ho visto che chi ha lavorato al video ci ha messo passione, amore, professionalità. Appena arrivati sul set ognuno sapeva esattamente quel che doveva fare, anche perché avevamo solo due giorni ed un attore non poteva stare in scena più di quindici minuti. Tempi svizzeri, altrimenti non ce l’avremmo mai fatta.


    E la reazione degli Ima Robot al video com’è stata?

    Sono stati contenti. Comunque, in precedenza avevano visto una demo di quello che avevamo fatto. Timmy il chitarrista era un po’ preoccupato per alcune figure come Gesù o Hitler, ma poi vedendo il risultato finale si è capito che è solo un gioco, senza connotazioni politiche o religiose.


    Quanto di te e quanto di New York si può trovare in questo video?

    Questo video avrei potuto farlo dappertutto, anche se probabilmente i personaggi dei bagni sarebbero stati differenti. Diciamo che New York è dentro quei bagni al 99%. Di me c’è tutto quello con cui sono cresciuto a livello visivo, a livello di fumetti o in quello che leggo.


    Cosa ti ha portato a New York?

    Gli studi, all’inizio. Dopo il liceo ho fatto tre anni di IED (Istituto Europeo di Design). Dopo ho deciso di frequentare per un anno la New York Film Academy e di seguito ho deciso di rimanere e vedere cosa succedeva. All’inizio non succedeva tanto a livello lavorativo, giravo parecchio come free lance.  Poi sono arrivato ad i-Italy. 

    In quel periodo eri ancora Francesco Carnesecchi. Poi ti sei “trasformato” in Frank Jerky…

    Frank Jerky nasce grazie ad un mio amico che collabora con i-Italy, Julian Sachs. Si parlava del fatto che il mio nome pronunciato dagli americani fosse terribile e della necessità di trovare un bel nome d’arte. Io non volevo qualcosa di casuale, che si allontanasse troppo dal mio vero nome. All’improvviso a Julian viene in mente “jerky”, che in America sono le bustine di carne secca che vendono al supermercato. Geniale! Ha un sound quasi stupido, ma mi piace, si adatta alle cose che faccio io, che non sono mai troppo pretenziose, troppo serie…
     

    Cos’è il cinema nella tua vita?

    Tutto. Dal momento in cui salgo in macchina e metto la musica, quella è la colonna sonora del mio film. Per me tutto quel che vedo è cinematografico…


    Parlami della Wrongway Pictures, la tua compagnia di produzione di video…

    Siamo in tre, Vittorio Guidotti, Stefano Lemon ed io. Il sito è uscito in contemporanea con l’uscita del video degli Ima Robot, il 21 settembre. È stato fatto apposta. La Wrongway invece esiste dall’uscita del mio corto The Call, dal 2010 circa. Siamo tre matti. La cosa bella è che siamo in tre punti diversi del mondo. Io sono a New York, Lemon è qui a Roma mentre Guidotti è a Londra. Ecco perché ci siamo chiamati Wrongway: perché è il modo più sbagliato al mondo per lavorare insieme! Invece noi cerchiamo di sfruttare a nostro favore la lontananza perché grazie a questa divisione abbiamo contatti di lavoro a Londra, New York e Roma. Alla fine riusciamo a gestirci abbastanza bene, a collaborare nelle diverse situazioni. Siamo stati fortunati con questo video perché c’era l’estate ed io ero qui a Roma per problemi di visto e abbiamo potuto lavorare insieme fisicamente alla post- produzione. La particolarità, tra le tante che ha questo video, è che è stato girato in una location, a New York, appunto, e montato in tre, tra Roma, Velletri e Nettuno.  
     

    Che differenza c’è tra un ragazzo che, come te, voglia vivere una vita all’insegna del cinema qui in Italia e là, dall’altra parte dell’Oceano?

    Qui se dici che sei un film maker la gente ti chiede cosa tu faccia in realtà, ti chiedono il tuo vero lavoro, come se fosse un hobby, qualcosa di frivolo: non ci si rende conto che lavorare nel cinema vuol dire anche faticare tanto per arrivare dove vuoi arrivare. A New York ho conosciuto tanti ragazzi, anche italiani, che fanno di tutto per inseguire un sogno. Lo stesso ho fatto e faccio tuttora io: non ricordo un solo giorno della mia vita in cui ho deciso di fare qualcos’altro se non cinema. Tutto è stato molto semplice per me, mangio e respiro cinema da quando sono bambino e per me è stato sempre così. Se ce la faccio bene, altrimenti morirò provandoci.

  • Fatti e Storie

    Contestazioni all'apertura delle scuole in Italia

    Le vacanze estive sono finite per quasi otto milioni di studenti italiani: lunedì 12 settembre si sono riaperte le scuole in buona parte delle regioni italiane. È però un inizio di anno scolastico segnato dalle proteste. Dal caro libri alle classi “pollaio”, dal problema dell'edilizia scolastica ai tagli del governo all’istruzione: genitori, studenti e lavoratori della scuola sono pronti a dar battaglia su questi e altri temi scottanti, organizzando flash mob davanti a diversi istituti superiori da nord a sud, presìdi davanti agli Uffici Scolastici di varie regioni, sit in di protesta. Per non parlare delle manifestazioni fissate il prossimo 7 ottobre in più di cento città d’Italia, tutte con un unico slogan: “Saremo ovunque per salvare una generazione”. La Rete degli Studenti denuncia: “Siamo costretti a studiare in edifici fatiscenti che continuano a crollarci addosso e in classi “pollaio” da 30 alunni, i programmi sono fermi a 50 anni fa, non c’è nessun investimento sull’innovazione”. Poi l’affondo: “Ma il ministro Gelmini continua a parlare di rigore e merito e a punirci con provvedimenti come il voto di condotta o il limite di assenze”. Per la Rete degli Studenti la necessità è mettere al centro del dibattito pubblico e delle politiche sulla scuola alcuni punti: “Welfare studentesco, edilizia scolastica, diritto allo studio, innovazione, valutazione non punitiva, collegamento col mondo del lavoro. Sono le priorità da cui ripartire per rimettere in piedi la scuola pubblica”.
     

    L’immagine che si percepisce ancora volta all’inizio dell’anno scolastico è quella di una scuola abbandonata a se stessa, colpita dal taglio di otto miliardi della legge Gelmini, con meno fondi a causa della manovra di ferragosto che ha sottratto soldi agli enti locali, e di conseguenza con trentamila insegnanti in meno. I tagli alla scuola riguardano anche l’accorpamento di numerosi istituti: 900 delle attuali 10.500 istituzioni scolastiche, infatti, sono state unite a sedi scolastiche con almeno 500 alunni. Secondo Tuttoscuola.com, sito d’informazione scolastica, ciò comporta l'eliminazione del 30% dell'organico dei dirigenti scolastici, dell'11% dei posti di direttore amministrativo e di 1.100 posti di assistente amministrativo. Altro effetto dell’accorpamento sono le cosiddette “classi pollaio”, definizione un po’ inquietante ma perfettamente calzante per descrivere le classi sovraffollate. Aule da 30 persone, a volte anche di più, in cui, riferiscono gli stessi presidi “si rischia di non lavorare bene”. “Abbiamo prime sovraffollate oltre ogni limite umano -afferma il dirigente del liceo scientifico Talete di Roma, Antonio Panaccione - fino a 32 ragazzi. Non c'è più spazio per fare nulla, abbiamo dato fondo a tutti i locali utilizzabili, andando a finire anche in quelli non sicuri”. Il Talete quest'anno conta ben 45 classi, tuttavia i problemi non riguardano solo le aule “pollaio”, ma anche i locali e la sicurezza. Infatti, due scuole su tre non sono a norma e devono essere messe in sicurezza. “Oltre al fatto che siamo strapieni – dice il preside Panaccione - per motivi di sicurezza ci stanno murando anche un'ala dell'istituto dove ci sono 4 classi.

    Non sappiamo come fare, stiamo cercando altri locali”. Poi un affondo al Governo: “Io dico che il risparmio non può essere fatto solo sulla scuola, stiamo soffrendo e pagando un prezzo che, se non s’inverte subito la rotta, distruggerà le giovani generazioni”. E la preside della scuola elementare e media di Via Laparelli, sempre a Roma, descrive una situazione similare: “Dal 4 settembre abbiamo avuto un boom spaventoso di richieste ma io non ne posso accogliere più. Ho già classi da 27-28 alunni!”.

    Naturalmente il ministro Mariastella Gelmini rispedisce al mittente le accuse sul sovraffollamento delle aule ricordando che "le classi con più di 30 alunni rappresentano lo 0,6% di tutte le classi italiane, poco più di 2mila su oltre 340mila classi". Secondo la Gelmini "dare la sensazione di una scuola allo sbando e con classi normalmente sovraffollate è un errore e non rappresenta la realtà dell'istruzione pubblica italiana" anche perché "in realtà - sottolinea - le nostre classi hanno una media inferiore all'Ocse: la media di alunni per classe è di 22 studenti contro la media Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) di 23 studenti per classe".
     

    Un altro problema che rappresenta una vera e propria emergenza è quello dei tagli sugli insegnanti di sostegno che riguarda gli studenti disabili. Le norme della Gelmini lo scorso anno fissavano un limite massimo di posti riservato agli insegnanti di sostegno del tutto insufficiente alle necessità, motivo per il quale era dovuta intervenire una sentenza della Corte Costituzionale che dichiarava tali norme illegittime. Con il nuovo anno scolastico il problema si ripresenta ancor più grave, poiché gli insegnati di sostegno risultano ancora in numero non adeguato. Il ministro Gelmini ha tuttavia cercato di smentire e smorzare le critiche e le polemiche rilasciando dichiarazioni che dovrebbero tranquillizzare le famiglie di quei ragazzi che hanno bisogno del sostegno, ed in particolar modo di coloro che si trovano in classi sovraffollate: “Classi pollaio? Il problema esiste, ma non è una norma”. Riguardo agli insegnanti di sostegno ha poi affermato: “Quest'anno ne abbiamo 94mila che rappresentano il picco più alto mai raggiunto nella scuola italiana. Questo è un dato importante perchè l'attenzione alla disabilità è un altro punto qualificante della scuola”. E ancora: “Possono esserci casi in cui l'insegnante di sostegno viene dato con troppa superficialità a discapito di chi ne ha veramente bisogno ma dire che chi governa ha tagliato gli insegnanti di sostegno è una bugia”.

    Alle parole della Gelmini fanno però eco quelle di Simona Clivia Zucchett, responsabile Area Disabili per Equality Italia: “A pagare un conto salato sono sempre i ragazzi disabili, sembra quasi una tradizione. A giugno si sapeva che le ore di sostegno sarebbero state ridotte drasticamente, che gli insegnanti di sostegno sarebbero serviti da tappabuchi per le supplenze e che ci sarebbe stato il rischio di classi sovraffollate. Ma la domanda che sorge spontanea è: questi insegnanti definiti di sostegno sono proprio tutti qualificati per il sostegno? Non direi, una buona percentuale viene reperita dalle file del precariato classico, secondo cui l'incarico fa punteggio, poco importa delle competenze specifiche”. E conclude: “Non resta altro che fare i complimenti al ministro Gelmini per la sua totale incapacità a comprendere il principio dell'inclusione sociale dei più deboli, contemplata dalla società civile, dalle istituzioni europee e internazionali”.
     

    Altro tema all’ordine del giorno è quello dell’aumento dei costi per le famiglie, dai libri di testo ai contributi volontari. In particolar modo, la spesa per i libri aumenta in maniera costante di anno in anno e sfogliare le diverse edizioni dei testi scolastici che cambiano in media ogni biennio può portare a spiacevoli sorprese: modifiche impercettibili, argomenti uguali, trattati con le stesse parole ma posizionati in pagine diverse, una differente copertina, causano la “rottamazione” delle “vecchie” edizioni e scatenano le ire di quei genitori che speravano di usare ancora lo stesso libro dei figli o dei cugini più grandi anche per i figli minori, risparmiando notevoli somme di denaro. Un problema vecchio ed apparentemente irrisolvibile, nonostante le buone intenzioni dell’attuale ministro dell’Istruzione, ma anche di quelli passati. Per contrastare il caro-libri, l’Unione degli Studenti ha organizzato dei mercatini dell’usato in tutta Italia, abbattendo i costi con il riuso dei libri, almeno di quelli che non hanno nuove edizioni. Il Codacons (Coordinamento delle Associazioni per la Difesa dell'Ambiente e dei Diritti degli Utenti e dei Consumatori) stima che quest'anno per mandare i figli a scuola, le famiglie spenderanno l'8% in più, tra libri e corredo scolastico. E mentre c'è chi va a caccia dell'affare su internet (in aumento le vendite su e-Bay), Federcartolai, l’associazione che rappresenta la categoria dei cartolai e cartolibrai, propone un kit contro il caro-prezzi: con 19,90 euro si possono acquistare zaino, astuccio e cancelleria varia.
     

    Non consola l’ultimo rapporto Ocse sull’istruzione in cui l'Italia si posiziona agli ultimi posti: siamo tra i Paesi che investono meno sull'istruzione e i nostri insegnanti sono quelli che guadagnano meno di tutti. Inoltre le ore di studio nelle scuole dell'obbligo sono troppe ed i laureati sono troppo pochi.

    Eppure basterebbe guardarsi intorno per rendersi conto della situazione della scuola italiana: in numerose scuole d’Italia c’è stata la richiesta ai rispettivi Comuni di fondi per acquistare sedie, cattedre ed armadi. Ma i soldi non ci sono e momentaneamente ci si sta arrangiando nelle maniere più disparate, in alcuni casi addirittura portando le sedie da casa: una situazione inaccettabile.
     

    E dire che quest’anno per la prima volta, le istituzioni scolastiche sono state chiamate dal Ministero dell’Istruzione ad adottare libri digitali o misti in sostituzione dei tradizionali libri cartacei, una soluzione in grado di garantire un abbattimento di circa la metà del costo dei libri di testo che annualmente le famiglie sono chiamate a sostenere. Una bella iniziativa, anche se forse, prima del progresso tecnologico, sarebbe opportuno che gli studenti potessero usufruire di aule sicure e a norma di legge e soprattutto di sedie e banchi.

  • Arte e Cultura

    68° Mostra di Venezia. Alla scoperta del cinema italiano

    Lo scorso 31 agosto ha avuto inizio la 68° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, un appuntamento immancabile per tutti gli appassionati di cinema. Quest’anno il direttore Marco Müller ha scelto come fil rouge della manifestazione le parole “emergenza” e “contemporaneo”, due concetti che esprimono l’importanza del cinema visto come specchio dei comportamenti degli uomini di un’epoca, strumento in grado di stupire, affascinare, amplificare, far riflettere, soprattutto in un tempo presente nel quale la volgarità dell'immagine è vissuta quasi come una fatalità.
    I film in concorso per il Leone d’oro sono in tutto ventidue mentre molti altri titoli interessanti spiccano nelle sezioni collaterali e fuori concorso, con personaggi di prim'ordine, ritorni e debutti degni della kermesse cinematografica numero uno in Italia. Sul red carpet del Lido si sono già viste alcune tra le più grandi star di Hollywood e del cinema mondiale come George Clooney, Madonna, Al Pacino. La piacevole novità della Mostra di quest’anno, tuttavia, è la presenza di film italiani in tutte le sezioni. Tre i lungometraggi in concorso: Emanuele Crialese porta al Lido “Terraferma”, pellicola che affronta il delicato tema degli sbarchi clandestini in Italia e il difficile confronto tra popoli diversi per cultura e tradizione. C'è anche Cristina Comencini con il suo “Quando la notte”, dramma ambientato in un paesino di montagna teatro dell'incontro tra Marina (Claudia Pandolfi), donna convinta di essere una pessima madre e Manfred (Filippo Timi), uomo cresciuto all'ombra del Monte Rosa, silenzioso e all'apparenza burbero. E poi c’è “L’ultimo extraterrestre” di Gianni Pacinotti con gli alieni che arrivano sulla Terra ma non creano lo scompiglio che da sempre il cinema ha immaginato.
     

    I nostri tre registi in concorso si ritrovano a competere con colleghi di tutto il mondo del calibro di George Clooney, a Venezia in veste di regista (single?) che ha aperto la mostra con “Le idi di Marzo” in cui, sorretto da un cast stellare (Ryan Gosling, Evan Rachel Wood, Philip Seymour Hoffman), racconta le difficili primarie del partito democratico nella corsa alla Casa Bianca. Oppure Roman Polanski, assente per ragioni giudiziarie, il quale si avvale di due super attrici, Jodie Foster e Kate Winslet, per raccontare le dinamiche di due coppie che vivono sul filo dell'ipocrisia. O David Cronenberg, che con il suo attore feticcio Viggo Mortensen e la bellissima Keira Knightley racconta le vicende degli analisti Freud e Jung alle prese con una paziente molto particolare, Sabine Spielrein. E poi la regista e disegnatrice iraniana Marjane Satrapi, ed ancora Abel Ferrara con una storia sull'amore ai tempi della fine del mondo, o Madonna, con una personale visione dell'amore tra Wally Simpson e il principe di Galles nel suo secondo lungometraggio, “E.W.”.
     

    Diciamo che quest’anno ce n’è davvero per tutti i gusti!  I film italiani, in concorso e non, si sono distinti per le storie davvero belle ed aderenti alla realtà di tutti i giorni. Storie che parlano di crisi economica, di profonda disillusione, della paura dell’Altro: profonde riflessioni sulla nostra società anche se a volte espresse in commedia. Tra le pellicole degne di nota c’è “Cose dell’altro mondo”, film fuori concorso di Francesco Patierno che ancor prima di essere proiettato ha creato un vero e proprio “caso”, con aspre critiche da parte della Lega e persino un’interrogazione parlamentare. Certo, la storia dell’imprenditore-telepredicatore veneto, interpretato da un grande Diego Abatantuono, il cui desiderio di veder sparire gli immigrati viene misteriosamente esaudito, non poteva non suscitare scalpore, anche se il regista alla conferenza stampa di presentazione del film ha ribadito che “Cose dell’altro mondo”  “non vuole essere un’opera ideologica, ma stimolare la riflessione, porre delle domande assolutamente non politiche”. Tuttavia, Patierno in barba agli inviti di boicottaggio di “Cose dell’altro mondo”, lanciati da alcuni leghisti, che tra l’altro non avevano neanche visto il film, è risultato l’incasso italiano più alto del weekend.
     

    In concorso, invece, “Terraferma” di Emanuele Crialese in cui si affronta il tema degli sbarchi nel canale di Sicilia. Ma, più che sull’immigrazione, ha spiegato il regista incontrando la stampa, il film si concentra sulle dinamiche dell’accoglienza e del sospetto che scattano quando abbiamo a che fare con il “diverso”, dinamiche che vanno contro i codici antichi dei pescatori che impongono comportamenti diversi da quelli voluti dalla modernità. Nell’incontro con la stampa a Venezia Crialese ha raccontato di essere stato molto colpito dalle storie di alcuni pescherecci sequestrati perché avevano salvato migranti portandoli in porto e di pescatori accusati di favoreggiamento all’immigrazione clandestina solo per averli aiutati: “La risposta dello Stato è completamente inadeguata e va contro le regole più elementari di civiltà: lasciare morire gente in mezzo al mare è segno di grande inciviltà. Non ci rendiamo conto –ha continuato Crialese- di cosa c’è dietro a quei minuti di reportage che ci arrivano in casa, tutto ci scivola addosso, come se molti di noi avessero perso la rotta. Forse l’italiano ha più paura dallo straniero proprio per il suo passato. Ma l’Italia è un paese vecchio, ha un bisogno pazzesco di contaminazione. Queste persone che non sono tutti ladri, assassini, parassiti, possono aiutarci a uscire fuori dall’impasse”. Il regista romano ha voluto tra i protagonisti la giovane eritrea Timnit T., bella come una modella ma in realtà sopravvissuta nel 2009 ad una traversata su un gommone in cui morirono di fame e sete 73 persone. Un incontro reso possibile grazie a Laura Boldrini, portavoce dell’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati (Unhcr). Il film non è imperniato soltanto sull’odissea di Timnit, piuttosto di come il salvataggio di una donna africana riesca a ribaltare gli equilibri di una famiglia isolana.
     

    Anche Ermanno Olmi ha voluto nel suo film fuori concorso “Villaggio di cartone”, accanto agli attori Rutger Hauer e Alessandro Haber, dei veri immigrati. Quello del Maestro Olmi è un “apologo” più che un film, o almeno così lo definisce il regista, 80 anni appena compiuti: un’opera per sostenere la “riscoperta di un’umanità rimasta integra nei valori, che vive l’esistenza come noi non siamo più capaci di viverla e ci riporta alle origini dell’uomo. Sarà l’Africa a salvarci”. Una pellicola dai toni pacati ma allo stesso tempo durissimi sul tema dell’accoglienza. Ed anche qui, come in “Terraferma” di Crialese e “Cose dell’altro mondo” di Patierno, il tema è il rapporto tra noi e i tanti che ci vengono a chiedere aiuto.

    Vicino come tematica ma ambientato nel 1947, negli anni del dopoguerra in Italia, è “Pasta nera”, il documentario di Alessandro Piva presentato nella sezione “Controcampo”: una pellicola che ci regala il calore di uno straordinario racconto di accoglienza e solidarietà. È la storia quasi sconosciuta di centinaia di militanti politiche di sinistra che s’impegnarono per salvare dall’abbandono migliaia di bimbi del Sud, facendoli ospitare dalle famiglie emiliane.

    Una kermesse davvero ricca, quindi. Mancano solo i nomi dei vincitori degli ambiti leoni e leoncini che da giorni ormai sono stati lucidati a dovere, in attesa della sera del 10 settembre, il momento più atteso dopo tanti giorni di buon cinema.

  • Fatti e Storie

    Il Papa Beato

    Il prossimo primo maggio Papa Giovanni Paolo II verrà proclamato Beato da Benedetto XVI: negli ultimi dieci secoli nessun Papa aveva innalzato agli onori degli altari il suo immediato predecessore.

    Il rito si celebrerà in San Pietro, in una giornata impegnativa per la città di Roma che si prepara all’evento con oltre 6.500 volontari e con i trasporti, la vigilanza urbana, la Protezione civile allertati da tempo, pronti a far fronte al lavoro straordinario che si prevede per quella che sarà una grande festa di incontro tra cultura e spiritualità.

    La beatificazione si terrà durante la Messa del primo maggio in piazza S.Pietro alle 10 del mattino, ma già il 30 aprile, dalle 20,30 alle 22,30 si potrà partecipare alla grande veglia di preghiera al Circo Massimo presieduta dal cardinale Agostino Vallini. Sarà data ai fedeli la possibilità di pregare per tutta la notte in otto chiese del centro storico nel percorso tra Circo Massimo e Piazza S.Pietro, dove ci sarà l’educazione eucaristica e la possibilità di confessarsi.

    Dopo la S. Messa di Beatificazione presieduta, appunto, da Benedetto XVI, si potranno venerare davanti all’altare della Confessione, nella Basilica, le spoglie di Giovanni Paolo II, senza limiti di orario, fino all’ultimo fedele. Il 2 maggio alle 10,30 si chiuderà il programma con la S. Messa di ringraziamento per la Beatificazione del Servo di Dio Karol Wojtyla. Una tre giorni intensa a cui si lavora alacremente da mesi, soprattutto in Basilica, nella cappella di San Sebastiano, appena dopo quella della Pietà di Michelangelo, dove si trova l’altare della Confessione che accoglierà la bara di Papa Wojtyla. Si sono lucidati affreschi e marmi in modo che tutto potesse essere pronto al trasferimento della bara del Beato Innocenzo XI che si trovava là da molti anni ormai e che è stata spostata per fare spazio a quella di Giovanni Paolo II, definito già a poche ore dalla sua morte “magno”. Talmente “magno” da meritare il rito abbreviato sui tempi degli usuali processi canonici.
     

    Quello di Karol Wojtyla è stato un processo di beatificazione impegnativo, a cui ha collaborato anche un gruppo di teologi critici europei e sudamericani che hanno analizzato in maniera capillare l’opera del Papa evidenziandone ogni aspetto, e soprattutto i punti negativi del suo pontificato, quelli che avrebbero potuto inficiare la beatificazione: la repressione della teologia della liberazione, l’isolamento intorno al vescovo Oscar Romero, la condanna dei teologi che cercavano nuovi approcci alle questioni della sessualità, del celibato, del ruolo della donna nella Chiesa, il rinnovato centralismo della Curia, lo scandalo dello Ior e l’aver lasciato che in Curia, nonostante avesse egli stesso più volte denunciato i preti stupratori, si insabbiassero troppe pratiche sugli abusi sessuali.

    Tuttavia, le luci e le ombre non sono riuscite a bloccare la sua beatificazione, un primo passo verso la santità, e soprattutto a minare la popolarità di Karol Wojtyla, un Papa ammirato da tanti, cattolici e non, colpiti dalla sua personalità che l’ha reso un personaggio di spicco del secolo passato, un personaggio che sarebbe riduttivo vedere semplicemente nel suo ruolo di Pontefice. Un ruolo, peraltro, che grazie a lui si è evoluto, seguendo i cambiamenti del mondo.

    Ed eccolo allora a vestire i panni del Papa globetrotter, a viaggiare per il mondo, raggiungendo terre mai visitate da un Pontefice, colpendo anche così l’immaginario collettivo.

    Una personalità forte e decisa, quella di Papa Wojtyla, che si è subito imposta al mondo sin dal giorno della sua elezione, con quel suo primo discorso da Pontefice: “Non abbiate paura. Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo”.

    Parole pronunciate dopo la fumata bianca, presentandosi ai fedeli di piazza San Pietro non sapendo ancora cosa dire, con il cerimoniere che gli ricordava di dover solo benedire, senza parlare o, al limite, dare un breve saluto. Ma ecco, il primo di una lunga serie di strappi al rigido cerimoniale della Santa Sede con Karol Wojtyla che si affaccia dalla loggia, saluta.

    La folla risponde e lui parla a braccio, con accanto il cerimoniere che ripete: “Adesso basta”, mentre sin dalle prime parole si capisce che ci saranno grandi cambiamenti in Vaticano, a cominciare dall’uso dell’”io” invece del maiestatico “Noi”. Un esordio che lo rende immediatamente il beniamino delle folle mostrandone le capacità di comunicare straordinarie, perfettamente al passo con i tempi. Un Papa comunicatore, quindi, ma anche un Papa atleta, impensabile prima della sua ascesa al soglio pontificio, fotografato mentre fa alpinismo in montagna, e persino a sciare; un Papa abituato a farsi una bella nuotata e per il quale vengono allestite piscine nelle sue residenze.

    Tra i tanti ruoli di Karol Wojtyla c’è quello di portavoce dei diritti umani, oltre i muri politici e culturali, tanto da portarlo a difendere la Bosnia musulmana contro i cristiani di Serbia e Croazia durante la guerra di Jugoslavia, ma anche a riconoscere lo Stato di Israele ed allo stesso tempo a condannare il muro di Sharon.

    Un Pontefice destinato a varcare frontiere sino ad allora ritenute invalicabili, come la soglia della Sinagoga di Roma, la prima mai visitata da un Papa sin dai tempi dell’apostolo Pietro. Così come è accaduto con le visite ad una moschea e ad un tempio buddista durante un viaggio in Thailandia, promuovendo il dialogo interreligioso, invitando ad Assisi i leader delle religioni del mondo per pregare per la pace ed esortando tutti a convivere rispettando uomini e religioni diverse dalla propria. Già nel 1979, con l’enciclica Redemptor Hominis, Papa Wojtyla aveva affermato che la libertà religiosa è un diritto umano e che la Chiesa si poneva “a guardia” di essa. Concetti innovativi per l’epoca, premonitori di istanze che si sarebbero manifestate negli anni a venire. E tutto il suo pontificato è stato proteso verso il Giubileo del 2000, perché, amava ripetere, “la Chiesa varcasse la soglia del terzo millennio purificata”. Di qui le sue richieste di perdono per errori ed orrori commessi in nome di Cristo attraverso i secoli, con l’immagine inedita di un Papa non più in cattedra ma in ginocchio, consapevole del fatto che non si può spargere sangue abusando del nome del divino.

    Karol Wojtyla, inoltre, aveva giocato un ruolo decisivo nell’abbattimento del comunismo nell’Europa dell’Est, risvegliando le coscienze nel nome dei valori religiosi e nazionali. 

    Karol Wojtyla, ricordano i suoi più stretti collaboratori, guardava dritto negli occhi gli interlocutori, stabiliva un contatto che andava oltre la mera formalità e proprio questa sua ricerca del contatto con “l’altro” è alla base della sua “teologia della corporeità” che difficilmente un altro Papa riuscirà a riproporre così efficacemente come lui.

    Ovunque egli andasse, ma in particolar modo in Africa ed in Oceania, non esitava ad andare contro i benpensanti ed i rigidi protocolli, abbracciando bambini mezzi nudi e donne a seni scoperti, vestite solo con gonnellini. Una spontaneità che l’ha reso popolare ed amato a tutte le latitudini. Ed il corpo, la comunicazione attraverso di esso è diventato nella fase finale della sua vita un modo per trasmettere il non dover avere paura neanche dell’infermità, che un uomo gravemente malato può vivere con dignità la sua malattia.

    E proprio nel momento della debolezza, ancora una volta Karol Wojtyla ha comunicato al mondo il suo essere, prima ancora che il Papa, semplicemente un uomo in carne ed ossa, diventando la rappresentazione vivente di una Chiesa umanizzata, che non ha nulla da nascondere, anzi, facendosi testimone di Cristo proprio con il dolore, con l’impossibilità di parlare come prima eppure comunicando in maniera dirompente con il suo silenzio e la sua sofferenza. E dopo la sua morte, pur essendo assente con il corpo, alcuni hanno percepito la presenza di Karol Wojtyla persino ai suoi funerali quando il decano di allora, il cardinale Ratzinger, che sarebbe diventato il nuovo Papa, accennò alla presenza celeste dell’anima del Pontefice defunto mentre il vento scompigliava le cotte porpora dei cardinali e le pagine del Vangelo posto sulla bara.

    Il prossimo primo maggio, nella festa che lo stesso Karol Wojtyla aveva voluto dedicare alla Divina Misericordia, Giovanni Paolo II diventerà Beato, e sarà ancora presente nei cuori delle migliaia di fedeli che non lo hanno dimenticato e che lo considerano già Santo.  

  • Facts & Stories

    The Beatified Pope

    On May 1 Pope John Paul II will be beatified by Benedict XVI: in the previous ten centuries no Pope had ever so honored his immediate predecessor. The rite will be celebrated in Saint Peter, during an important day for the city of Rome that is preparing the event with over 6,500 volunteers together with transportation and police forces all ready in advance to work extra on what will surely be a great feast for the joining of culture and spirituality.

    The beatification will take place during the May 1 mass in Piazza S. Pietro at 10 am, but already on April 30, from 8:30 to 10:30 pm it will be possible to take part in the great prayer vigil at the Circo Massimo held by Cardinal Agostino Vallini. The faithful will be given the opportunity to pray all night long in eight churches of the historic center along the path that connects the Circo Massimo and Piazza S. Pietro, where the Eucharistic education and confessionals will be.

    After the Holy Beatification Mass held by Benedict XVI, John Paul II’s remains will be available for veneration in front of the Confession altar in the Basilica, at all times, up to the last faithful.

    On May 2, at 10:30 the program will end with a Holy Mass of thanks for the Beatification of God’s Servant Karol Wojtyla. It will be three intense days after months of hard work, especially within the Basilica, and the San Sebastiano chapel, next to Michelangelo’s Pietà, where the Confession altar is placed that will hold Pope Wojtyla’s coffin. Frescos and marbles have been polished so that everything may be ready for the moving of the coffin of Innocenzo XI who had been placed there many years ago and who was moved to make place for John Paul II, defined as “great” even a few hours after his death; so “great” as to deserve an abbreviated process over the usual canonical times.

    Karol Wojtyla’s was a complicated beatification process that even saw the collaboration of a group of European and South American critical theologians who thoroughly analyzed the works of the Pope, underlining every aspect, especially the negative ones, of his rule, those that could have constituted a problem for his beatification: the repression of the theology of liberation, the isolation around Bishop Oscar Romero, the condemnation of those theologians who were searching for new approaches to the aspects of sexuality, celibacy, and the role of women in the Church, the renewed centralism of the Church itself, the scandal of the Ior and having allowed the Church, although he himself had frequently denounced rapist priests, to hide the cases of sexual abuses. However, these shadows were not able to block his beatification, a first step towards sanctity, and especially his popularity. Wojtyla was admired by many, Catholics and non-Catholics, for his personality that made him a central figure of the previous century, a character who was not simply reduced to the role of Pontifex, a role that thanks to him evolved in accordance to world mutations.

    He became a globetrotter, traveling around the world, to lands that no Pope had visited before, gaining notoriety all over. A strong and decisive character, Wojtyla won over the whole world from the day of his election, with his first speech as Pope: “Don’t be afraid. Open wide the doors to Christ”. Thus he spoke right after the white smoke, presenting himself to the faithful in Piazza San Pietro without knowing what to say, being reminded to simply give his blessing without saying anything, or at most simply giving a brief greeting. But instead this was the first of many revolutions Karol Wojtyla provoked in the rigid rules of the Holy See. On that occasion he spoke quite a bit, improvised, with the master of ceremonies asking him to stop, while everyone understood that there would be great changes in the Vatican, beginning with the use of “I” instead of the majestic “Us”. Such a debut made him immediately special to the masses, underlining his extraordinary communication abilities, perfectly in synch with his times.

    He was a Pope who communicated, but was also an athlete, unthinkable before his accession to the papal throne, photographed while climbing mountains and skiing; a Pope used to taking a swim and who therefore had swimming pools installed in his residencies. Among the many roles of Karol Wojtyla there was that of spokesman for human rights, beyond political and cultural barriers, enough to make him defend Muslim Bosnia against the Serbian and Croatian Christian during the was in Yugoslavia, but also to recognize the State of Israel and at the same time condemn Sharon’s wall. He was destined to cross barriers that until then had been considered impassable, such as the entrance to the Synagogue in Rome, the first to be visited by a Pope since the apostle Peter. This was repeated at a mosque and a Buddist temple in Thailand, promoting interreligious dialogue, inviting religious leaders of around the world to Assisi to pray for peace and exhorting everyone to coexist and respect different men and religions of the world. Already in 1979, with the Redemptor Hominis encyclical letter, Pope Wojtyla had stated that religious freedom is a human right and that the Church was setting itself as its “guardian”. Those were innovative concept for the time, premonition of what was about to happen.

    All his Pontificate was in wait for the Jubilee of 2000, and he loved to repeat, “the Church should enter the third millennium purified”. This brought forth his pleas for forgiveness regarding errors and horrors committed in Christ’s name throughout the centuries, with an unusual image of a Pope no longer on a throne, but on his knees, aware of the notion that blood cannot be spilled abusing the divine name. Karol Wojtyla, also, had played a decisive role in the destruction of Communism in East Europe, awakening consciences in the name of religious and national values.

    Karol Wojtyla, his closest collaborators care to remember, looked his interlocutors straight in the eyes, establishing a contact that went way beyond pure formality and this research for contact with “the other” is at the base of his “corporeal theology” that probably no other Pope will be able to re-propose with such efficacy. Wherever he went, but especially in Africa and Oceania, he didn’t think twice about breaking the rules, hugging half naked children and bare-breasted women. A spontaneity that made him popular and beloved everywhere. And the body, its communication, became, in his final moments, a way to convey fearlessness in the face of infirmity and that a gravely ill man may live his disease with dignity. And at that moment of weakness, once again Karol Wojtyla communicated to the world his being a simple man of flesh and bones, becoming the living representation of a humanized Church, with nothing to hide. On the contrary, it became more of a witness of Christ through its pain, with the impossibility of speaking as before and yet communicating in a disruptive manner with his silence and suffering. After his death, many perceived the presence of Karol Wojtyla even at his funerals when the Decan, Cardinal Ratzinger, who would become the next Pope, mentioned the celestial presence of the Pope’s sould while the wind rustled in the cloaks of the Cardinals and the pages of the Gospel on the coffin. On May 1, during the celebration Karol Wojtyla himself had wanted to dedicate to Divine Mercy, John Paul II will become Blessed, and will linger on in the hearts of the thousands of faithful that have never forgotten him and that already consider him a Saint.

  • Facts & Stories

    Click Day in Italy: The Immigration Lottery

    The first day, January 31, was dedicated to 52,080 workers of “privileged” citizenship, meaning those countries that subscribed to special cooperation migratory agreements with Italy: Albania, Algeria, Bangladesh, Egypt, the Philippines, Ghana, Morocco, Moldavia, Nigeria , Pakistan, Senegal, Somalia, Sri Lanka, Tunisia, India, Peru', Ukraine, Niger, and Gambia, just to name a few.

    The second appointment, on Wednesday, February 2, again at 8am, was the turn of the applications for cleaning ladies and carers of other nationalities, with 30,000 positions available. Finally, the last date was Thursday, February 3, for the conversion into residence permits from 11,000 permits for students, interns, occasional workers and other categories, as well as the admission of 4,000 non-Europeans that have finished their studies in their home country.

    Everything happened via computer: by logging into www.interno.it the employer found a page reporting the phases of the procedure, to be followed entirely online. The digital system, as explained at the Ministry, “has been tested and there should be no glitches. To guarantee the functioning of the service, from 7 to 9 am of every Click Day, the apparatus will be available only for receiving the questions and not for the other operations (registration, request, compilation and preparation for sending, etc.)”. However, the suggestion was quite clear: don't waste time and send out the applications at exactly 8:00. To be certain about the time there was the possibility of setting the correct time in one's computer by logging on to www.inrim.it.

    The lists will follow in chronological order from the time applications were received, as managed by the system. It will be the Mister of Labor who distributes the quotas province by province. The applications will be assessed by the Provincial Direction of Labor and by police headquarters. Based on these evaluations the employer will be free to hire. The foreign worker will have to go to the diplomatic representation of his country and receive a visa for entering Italy and receiving a residence permit. The Ministry of Internal Affairs made it known that it will take time to examine all the applications and divide the quotas. The last act of indemnity towards domestic helpers and caretakers of 2009 still hasn't been completed: of the 295,000 applications, only 250,000 have been defined up to today. In any case, beginning January 31, a crazy race for an early click began, since the quotas will be distributed in chronological order. In 2007 the quotas were reached after 15 minutes.

    This means that a job opportunity relies only on a click, a lottery that risks penalizing many people: this is how many foreign workers (and other people) regard this method. For many this Click Day was just another act of indemnity disguised as a flow decree. Italy is officially opening its doors to over 50,000 workers who it is believed will come from at least 20 extra-European countries. Actually this number of workers is only a small part of the multitude that have been present in our country for many years, awaiting to become legit. And the irregularity frequently becomes fruitful to many, such as the exploiters of paperless immigrants. In agriculture, construction, industry and most sectors of our economy, the workers without rights are squeezed like lemons. Not to mention the social aspect: the State gives no assistance to the elderly, certain disease patients, young couples with children, and this makes Italian families turn to cheap domestic helpers and caretakers. Click Day becomes a battle, an unmissable opportunity. It's enough to look around and ask those that work next door what this moment permeated with hope and trepidation means.

    Amina, a thirty-year-old Senegalese, frequently encountered on the elevator, has been working as a domestic helper for a number of years and, with her usual smile, told us that all her hopes are set on her employer following the Ministry's instructions correctly, seeing her future crystallized in a number of seconds, although, she added, “who knows when we will know if everything went well”. Luca, the adolescent nephew of an 86-year-old woman who can't use a computer, “clicked” instead of his great aunt, to try to legitimize her 40-year-old Moldavian caretaker, seen as “the only hope for my aunt, without whom we wouldn't know how to look after her”. An opportunity for many, including the usual smart ones that are profiting from it, offering fake employers, intermediates, or recommending questionable agencies that guarantee the application's result, making money off of those who want to become legit and project themselves towards a different, less unbearable, life.

    Carmen, a 44-year-old from Romania, thought of entrusting her life to a convincing intermediate from an agency that promised to resolve all her problems in exchange of 1,000 Euros. “Luckily I asked my Romanian friends who told me to not trust him and I left it alone. I gave up because I still haven't found an employer. Maybe next time...”.
    Meanwhile, summing up the three Click Days it was made clear that the offer wasn't able to satisfy the needs of the foreign workers among families and companies, according to what was stated, among others, by the CIA (Italian Agricultural Confederation), basically that more efficient instruments are needed, and especially new policies in the field of immigration.

    It is in the agricultural sector that the need to regulate more foreign workers is felt in respect to the numbers suggested by the Ministry of Internal Affairs. The presence of immigrants working in the fields has risen by over 2%, according to Coldiretti, meaning that one out of ten workers is a foreigner: “from the strawberry pickers outside Verona, to the apple pickers in Trentino, to the fruit pickers in Emilia-Romagna, to the grape pickers in Piedmont, and to the breeders in Lombardy.” According to Coldiretti this isn't merely unskilled labor: the presence of immigrant workers has become indispensable for quality production. Only time will tell if this Click Day went well. For now there is only the sense that these policies need to be reviewed in the future, since the past has shown the absurdity of these kinds of lotteries and obstacle courses that risk leaving out many workers who deserve legality.

  • Fatti e Storie

    Click Day: la lotteria dell'immigrazione

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    Il primo giorno, lunedì 31 gennaio appunto, è stato dedicato a 52.080 lavoratori di nazionalità “privilegiate”, cioè di quei Paesi che hanno sottoscritto accordi di cooperazione in materia migratoria con l’Italia: Albania, Algeria, Bangladesh, Egitto, Filippine, Ghana, Marocco, Moldavia, Nigeria, Pakistan, Senegal, Somalia, Sri Lanka, Tunisia, India, Perù, Ucraina, Niger, Gambia, solo per citarne alcuni.

    Nel secondo appuntamento, fissato per mercoledì 2 febbraio, sempre alle 8, è stato il turno delle domande relative solo a colf e badanti di nazioni differenti da quelle del precedente elenco, con  30mila posti in palio. Infine, l’ultima scadenza è stata quella di giovedì 3 febbraio, destinata alla conversione in permessi di soggiorno per lavoro subordinato non stagionale di 11mila permessi per studio, tirocinio, lavoro stagionale ed altre tipologie, nonchè all’ammissione di 4mila extracomunitari che abbiano completato programmi di formazione nel Paese di origine.
     

    Tutto è avvenuto via computer: collegandosi al sito www.interno.it il datore di lavoro ha trovato una pagina in cui erano riportate le fasi della procedura, da seguire tutta sul web. Il sistema informatico, hanno spiegato al Ministero, “è collaudato e non dovrebbero esserci disguidi. Per garantire il funzionamento ottimale del servizio, inoltre, dalle 7 di ogni Click Day e per le due ore seguenti, l’apparato sarà disponibile solo per l’acquisizione delle domande e non per le altre operazioni (registrazione, richiesta, compilazione, preparazione per l'invio etc)”. Il consiglio è stato comunque molto chiaro: non perdere tempo ed inviare alle 8 in punto la domanda. Per essere certi dell’orario di invio è stata data la possibilità di impostare precedentemente l’ora del proprio pc attraverso il collegamento al sito www.inrim.it.

    Le graduatorie, infatti, seguiranno l’ordine cronologico della ricezione delle richieste, così come vengono gestite dal sistema. Sarà poi il Ministero del Lavoro ad attribuire territorialmente le quote a livello provinciale. Le domande verranno quindi vagliate dalla Direzione Provinciale del Lavoro e dalle questure. Sulla base di queste valutazioni lo Sportello unico per l’immigrazione rilascerà il nulla osta al datore di lavoro. A questo punto, il lavoratore straniero si recherà nella rappresentanza diplomatica italiana del suo Paese a ritirare il visto per entrare in Italia ed avere il permesso di soggiorno. Dal Ministero degli Interni hanno fatto sapere che ci vorrà del tempo per esaminare tutte le domande e ripartire le quote e non si prevedono tempi brevi. Basti pensare che non è stata ancora completata l’ultima sanatoria destinata a colf e badanti del settembre 2009: su 295mila domande arrivate, ne sono state definite ad oggi circa 250mila. In ogni caso, a partire dal 31 gennaio è partita una folle corsa all’ultimo click, visto che le quote verranno assegnate in ordine cronologico, ingorghi telematici permettendo. Nel 2007 le quote a disposizione vennero esaurite nel giro di un quarto d’ora.
     

    Un posto di lavoro legato ad un semplice click, una lotteria che rischia di penalizzare tante persone: così è stata vista questa iniziativa dalla maggior parte dei lavoratori stranieri e non solo. Per molti questo Click Day è stato l’ennesima sanatoria travestita da decreto flussi. Infatti, l’Italia ufficialmente apre le porte ad oltre 50mila lavoratori che si suppone debbano arrivare da almeno 20 Paesi diversi non appartenenti alla Comunità Europea. In realtà questo numero di lavoratori rappresenta solo piccola una parte dei tanti che si trovano già nel nostro Paese da anni, in attesa di regolarizzare la loro posizione. E l’irregolarità spesso diventa fonte di business per molti, a cominciare da chi sfrutta gli immigrati senza documenti. Nell’agricoltura, nell’edilizia, nell’industria e nella maggior parte dei settori della nostra economia, i lavoratori senza alcun diritto vengono spremuti come limoni. Per non parlare del sociale: lo Stato non dà alcuna assistenza agli anziani non autosufficienti né ai malati costretti a lunghe degenze, non aiuta le coppie giovani con bambini, e tutto ciò spinge le famiglie italiane a cercare badanti e colf a basso costo. Ed il Click Day diventa una lotta, un’opportunità da non lasciarsi scappare. Basta guardarsi intorno e chiedere a chi lavora negli appartamenti vicini ai nostri, a conoscenti, cosa è stata quest’ora X permeata da speranza e trepidazione.

    Amina, trentenne senegalese, volto ormai familiare in frequenti incontri in ascensore, colf da alcuni anni da una famiglia vicina di casa, col consueto sorriso che la contraddistingue ci comunica tutte le sue speranze che il suo datore di lavoro abbia seguito alla lettera le istruzioni del Ministero degli Interni e vede tutto il suo futuro cristallizzato in una manciata di secondi, anche se, aggiunge, “chissà quando si saprà se tutto è andato bene”. Luca, nipote adolescente di una signora ottantasettenne non in grado di usare il computer, ha “cliccato” facendo le veci della prozia, per cercare di regolarizzare la badante quarantenne dalla Moldavia che è vista come “l’unica salvezza per la zia, altrimenti non sappiamo come fare ad accudirla”. Un’occasione per tanti, ma anche un’opportunità per tutti i soliti furbetti che non hanno perso l’occasione per fare affari, offrendo falsi datori di lavoro, intermediari, o raccomandando dubbie agenzie che garantiscono il disbrigo delle pratiche, lucrando come sciacalli sulla disperazione di chi vuole essere regolarizzato, uscendo da una anomalia insopportabile, proiettandosi verso una vita diversa.

    E Carmen, quarantaquattrenne rumena, ha pensato di affidare la sua vita ad un sedicente intermediario di agenzia che avrebbe risolto ogni suo problema in cambio di un migliaio di euro. “Per fortuna ho chiesto a mie amiche rumene che mi hanno detto di non fidarmi ed ho lasciato perdere. Ho rinunciato perché non ho ancora trovato un datore di lavoro che mi regolarizzi. Sarà per la prossima volta.”
     

    Intanto, tirando le somme della tre giorni del Click Day si è capito che l’offerta non è stata in grado di soddisfare il fabbisogno di lavoratori stranieri espresso da famiglie e imprese, secondo quanto affermato, tra gli altri, in una nota dalla CIA (Confederazione Italiana Agricoltori) per la quale servono altri e più efficaci strumenti, ma soprattutto una nuova politica in materia di immigrazione. E proprio nel settore agricolo si avverte la necessità di regolarizzare più lavoratori stranieri rispetto a quelli proposti dal Ministero degli Interni. Infatti, la presenza di immigrati impegnati nelle campagne italiane è aumentata, secondo la Coldiretti, del 2,03%, facendo sì che nei campi italiani quasi un lavoratore su dieci sia straniero: “dalla raccolta delle fragole nel Veronese, delle mele in Trentino, della frutta in Emilia Romagna, dell’uva in Piemonte fino agli allevamenti in Lombardia dove a svolgere l´attività di ‘bergamini’, cioè di addetti all’allevamento delle vacche da latte, sono soprattutto gli indiani mentre i macedoni sono coinvolti principalmente nella pastorizia”.

    Per Coldiretti non si tratta di mera “manovalanza”: infatti, la presenza di lavoratori immigrati è divenuta indispensabile per le produzioni di qualità, dagli allevamenti dei bovini di razza piemontese a quelli delle vacche per il parmigiano reggiano dove quasi un lavoratore su tre è indiano mentre in Abruzzo il 90% dei pastori è macedone, ma i lavoratori extracomunitari sono diventati decisivi anche nella raccolta delle mele della Val di Non, nella produzione del prosciutto di Parma, della mozzarella di bufala o nella raccolta delle uve destinate al Brunello di Montalcino.
     

    Solo il tempo potrà dire se in questo Click Day tutto sia filato liscio. Per ora resta solo la consapevolezza che per il futuro sarà necessario rivedere la politica dei flussi e tutto il sistema di regolarizzazione che, a giudicare dal passato ha mostrato l’assurdità di questa sorta di lotteria o di una corsa ad ostacoli che rischia di lasciare fuori tanti lavoratori che meriterebbero di uscire dalla clandestinità e dall’irregolarità.

  • Facts & Stories

    Cappuccino with Tullia Zevi


    Tullia Zevi will turn 90 at the beginning of February. Nevertheless she continues to be an important inspiration not only for the Jewish Italian community but for secular and progressive culture as well. She was the first woman to become president of the Union of Italian Jewish Communities (UCEI) which she led for over eleven years. She knew and associated with many anti-Fascist leaders, was active in the Partito d’Azione, and shared a deeply profound friendship with Amelia Rosselli, mother of the anti-Fascists Carlo and Nello Roselli. As a journalist for the American press she covered the Nuremberg trials and later Adolf Eichmann’s trial which took place in
    Jerusalem, and for many years she was the correspondent for the Israeli daily newspaper Ma’ariv. It was an intense life that Tullia Zevi narrated to her granddaughter Nathania in a book-interview Ti Racconto la Mia Storia (Mondadori, 2007) that covers 70 years of history beginning with the racial laws that were passed in 1938.

    When I telephoned her to schedule an appointment, it was she who answered and we spoke about how important it is to make young people more aware of the theme of memory and the horrors of history that must not be repeated. When she learned that I have an eighteen-year-old daughter who is currently studying these events in school, she suggested, if I agreed, to bring her with me to the appointment. It was a rare opportunity which we welcomed with immense pleasure.

    We arrived at Tullia Zevi’s home in the heart of the Roman ghetto, steps away from the sculpture “the Mouth of Truth” and
    Tiber Island, on a Sabbath afternoon. She welcomed us into her office and I couldn’t help but notice that her desk was covered with the major daily Italian newspapers. There was also a copy of the Herald Tribune and a few open books. All were signs of continuous work, an insatiable curiosity, and a constant need to know more. During the conversation she paused a few times to take sips of cappuccino. Inevitably I asked about her life as a Jewish adolescent during the terrible years of Fascism: “Until 1938 we did not notice any difference. Of course we were not Catholic but we still felt Italian in every sense. My family had been in
    Italy
    for about five centuries.

    Then with the racial laws, which I call “racist,” things changed, we had to emigrate. It was the summer of 1938 and we were on vacation in
    Switzerland
    . My father was in
    Milan
    , the city where we lived and where he practiced law as an attorney. Reading the text of the new laws right on that day was far-sighted; he realized that we could not return home, that unfortunately we had to give up everything: home, work, friends, and our way of life. We would be excluded from the social and civic life of the country – we who had been born and raised in
    Italy. It was a departure without good-byes; it was very sad.” Tullia Zevi took a sip of cappuccino then continued: “My father thought that we could continue to live in Europe, in
    Paris
    , that he could open a law office with a French friend. But then events came to a head and the seeds of racism took root there, and in the summer of 1939 we had to leave on one of the last civilian ships that sailed from the
    port of
    Le Havre to the
    United States
    .”

    I asked Tullia Zevi to talk about her life in
    New York
    : “They were very interesting years. I started to play the harp in churches and synagogues. My brothers and I had each studied a different musical instrument. There I met my husband, Bruno Zevi, and we were married in the Spanish synagogue in
    New York
    . I started working for a local Italian-American radio station and on short wave radio programs for NBC in
    Italy
    .” She took another sip of cappuccino while I asked her about the Italian-American community in
    New York: “They were very Fascist because there they received news filtered by Fascist propaganda, things like the trains ran on time, that there were no strikes. I joined a group of anti-Fascist exiles and we felt the need to tell the truth about the Fascist regime in
    Italy
    . We commemorated the anniversary of Matteotti’s and Rosselli brothers’ assassinations. We would go to the Italian neighborhoods in
    New York
    and other cities where the propaganda was distributed. But frequently they chased us away because they saw us as traitors.”

     I asked her to recount the story of Frank Sinatra’s advances towards her, another episode in her book. She smiled and remembered that they were rather crude comments made by a hulking man who was in the famous singer’s entourage, and it had taken place before she was married. It was a light aside before tracing her memories back in time, to Italy in 1946, the Italy that appeared before her after seven years in exile in the
    United States: “My husband returned before I did because he joined the Resistance along with others in exile. I joined him after the war. I also decided to return to
    Italy because the Jewish community had been destroyed, completely annihilated by the regime. I thought that my place was here, and I thought that it was my duty as a survivor to return and lend a hand. And I continued to work as a journalist.”

    While she finished her cappuccino, I asked if she thinks anything has changed after the horrors of the concentration camps, whether future generations should fear that what happened in the Holocaust will happen once again: “The seeds of intolerance are always lying in wait. Democracy is constructed so that we can be on the lookout for totalitarian regimes. But the danger is always there. A great American, Thomas Jefferson, said that the price of liberty is eternal vigilance and I believe that this should be our message to today’s young people. We must not forget that the totalitarians were monsters. Those who forget the past are condemned to repeat it; for this reason history is important as is the study of memory and history. But above all I tell young people: remember that democracy is supreme and it will cost tears and blood to recapture it.”

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    Scandals and Controversies. Gheddafi's Visit Leaves Italians Dumbfounded

    Colonel Muammar Gaddafi’s two-day visit to Italy will be remembered for the inevitable controversy surrounding the Libyan leader who, as usual, is the center of attention because of his words and actions.

    The trip was intended to strengthen the ties between Tripoli and Rome. In fact, Italy and Libya had signed a pact in 2008 that ended tensions between the two countries which began with the Italian colonization of Libya. One year ago, Gaddafi made his first trip to Italy to mark the anniversary of the event. His recent visit, which took place just a few days ago, had political and commercial aims, although the media all over the world focused mainly on the Colonel’s “spectacle.” And this time the show included 30 thoroughbred Berber horses and 40 “Amazonian” bodyguards that usually accompany the Libyan leader as well as the magnificent tent set up in the garden outside the Libyan ambassador’s residence where the Colonel spent his Roman trip.

    The exotic, Arabian night-style atmosphere made quite an impression on the Italian imagination, even though the highlight undoubtedly was Gaddafi’s lectures held at the Libyan Cultural Center on two different days, with 500 young women attending on the first and 200 on the second.

    The women were hired and paid about 100 U.S. dollars by an agency to attend the lecture; the agency said it would not pay women who talked to the press. The women had also been told to dress conservatively and were each given a copy of the Quran along with the Green Book on the Libyan revolution.

    The gatherings will also be remembered for some remarkable statements the Colonel made that provoked criticism and disappointment, especially among Catholics. “Islam should become the religion of all of Europe,” declared Gaddafi. He also asserted that “women are more respected in Libya than in the West.” While this may be true in Libya, how could he overlook the many female victims of religious fundamentalism in the Islamic world? Gaddafi also generously offered assistance in finding Libyan husbands for the young women attending the lectures. Rumors suggest that following the events at least three women decided to convert to Islam even though there is no evidence to support this claim.
     

    Inevitably the Libyan leader’s visit was defined by the media as a spectacle and an extravaganza, while the opposition as well as some in the center-right coalition criticized Silvio Berlusconi for paying tribute to the Colonel, focusing only on business, and ignoring his provocative statements that lack the diplomatic attitude typical in meetings between heads of State. “Italy has become Gaddafi’s Disneyland, an amusement park for his senile vanities."

    The reason, unfortunately, is politics,” wroteFareFuturo, a foundation who supports Gianfranco Fini, a center-right politician who is currently the Speaker of the Low Chamber and is having a highly-publicized disagreement with his former ally, Silvio Berlusconi. Another representative of the governing coalition, Mario Borghezio, who belongs to the anti-immigration partyLega Nord (The Northern League), could not hide his disappointment: “Gaddafi’s words show his dangerous ‘Islamization’ project for Europe.” The daily Catholic newspaper L’Avvenire criticized Gaddafi’s visit in a front-page editorial entitled, “The Colonel’s Proselytism.”

    The criticism was also directed against the Italian media for “accommodating” his “spectacle.” Rocco Buttiglione, the President of a center-Catholic party, the UDC (Unione di Centro) asked the Libyan leader a rather provocative question (through the media) that, of course, was rhetorical: “If I went to Tripoli to demand that Libyans convert to Christianity, what are the odds that I would return in one piece?” Rosy Bindi, one of the most important representatives from the main opposition party, the Democratic Party, said that the image of hundreds of Italian women being bused in at Colonel Gaddafi’s whim was a “humiliating violation” of their dignity. Silvio Berlusconi’s reply harshly defined the critics as “prisoners of outdated ideas.”
     

    The two leaders demonstrated mutual respect and admiration in all of their public appearances together.They met for talks in the tent which has always hosted Gaddafi on foreign visits, and discussed industrial cooperation projects and prospects for Italian firms in Libya, aides said. The two leaders also attended an equestrian show for which Libya provided 30 horses and riders. Italian military police also took part in the show with their own horses. A gala dinner with about 800 guests followed the exhibition. Some of the biggest names in Italian business pulled strings to be invited, seeing the gala as an occasion to pick up lucrative contracts in the energy-rich North African country.

    During the party the Colonel made one more “memorable” comment: “Libya, with Italy’s support, asks the EU to provide at least 5 billion dollars a year to stop illegal immigration, otherwise Europe could one day become part of Africa. It could become black, because millions want to come here.” Once again, negative reactions abounded: “Ever since Gaddafi arrived here, he’s been taking this country for a ride, like buying women,” said Stefano Pedica, a senator from the opposition Italy of Values party. Several commentators also accused Berlusconi of sacrificing principles and dignity for the sake of trade and investment ties with Libya, whose huge sovereign wealth fund has invested heavily in Italy in recent years.
     

    Even after Colonel Gaddafi’s departure, the debate did not end. In fact, it was noted that President of the Republic Giorgio Napolitano had not been informed of the Libyan leader’s official visit to Italy, neither by the Minister of Foreign Affairs nor by the Premier’s staff. It was an unusual turn of events that went against the usual protocol followed in such cases.

    Edited by Giulia Prestia

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    Summer of Poisons

    This summer will be remembered in Italy as “the summer of poisons.” Despite the fact that the majority of Italians are on holiday, politics, politicians, journalists, and the media in general are having a really “hot summer.” And “hot” doesn’t necessarily refer to the temperature on the thermometer!

     
    Parliament is closed but even the vacation season could not prevent a political crisis involving the governing party against the opposition. Here in Italy it’s possible to follow the political crisis “within” the Italian government. This has already happened in the past with the center-left government and now it is happening again with the center-right. The “fight” is getting somewhat personal between Prime Minister Silvio Berlusconi and his former ally, the Speaker of the Low Chamber, Gianfranco Fini and may be seen as the last chapter of Berlusconi’s political saga. The two politicians became allied in 1994 when, for the first time since World War II, a right-wing party with origins in the Fascist party was elected. At that time both Fini and Berlusconi considered their alliance as an opportunity to take advantage of a time in which Italy was shaken by the largest political corruption scandal in its history, the so-called Mani Pulite (Clean Hands) case.
     

    After 16 years at Berlusconi’s side, on various occasions Gianfranco Fini started to express his disagreement with many government positions, clashing with various ministers and complaining about Berlusconi’s authoritarian style, especially his scorn for parliament and his unfailing support for allegedly corrupt government ministers.

    The situation came to a head last April when the two pointed and shouted at each other across the stage at a PdL (Popolo della Libertà) conference while the audience of fellow party activists and journalists watched the scene, incredulous. Since then the relationship between them has inexorably deteriorated with Fini criticizing the attempt by Berlusconi’s government to introduce a law (commonly known as Legge Bavaglio) which would impede magistrates from using wiretaps and would send journalists to jail and fine editors who publish information leaked by prosecutors. The bill has not been passed yet, mainly because of strong criticism from the opposition and the internal conflict within Fini’s own party. Berlusconi harshly attacked Fini for his resistance, claiming that he should resign his position as Speaker of the Lower Chamber because he has failed in his duty to guarantee impartiality and accusing his supporters in the PdL of betraying voters.

    The turning point in the deteriorating relationship between Berlusconi and Fini came with the creation of a new parliamentary group in the lower house, “Futuro e Libertà” (Future and Freedom), formed by 33 members of parliament, enough to undermine the government’s majority. Fini stated that the new group would be faithful to PdL and would only vote against the government in the case of clear infringement on the commonly agreed upon electoral manifesto. But what Fini really meant was that from then on Berlusconi had to seek his approval for any decree or law that the government planned to introduce. 

    This new situation became clear on August 4 when the Lower Chamber was called to vote for legal authorization to indict Giacomo Caliendo, a junior minister who was accused of being involved in the creation of a secret society (named P3 by the media, referring to the infamous Masonic Lodge P2), which supposedly plotted to fix judicial and political appointments, discredit Berlusconi’s political opponents, and smooth out judges who were to rule on cases involving the Premier. The lower house voted 299 to 229 in the government’s favor but there were 75 abstentions, including most of Fini’s rebels. It was clear that had they chosen to vote against the government, they would have defeated the bill.

     
    After this event, the hot story of the Italian summer was “casually” stirred up by Il Giornale, a daily owned by Berlusconi’s brother, Paolo. With suspect timing, it came out that an apartment in Monte Carlo left as an inheritance by an Italian noblewoman to Fini’s party was sold at a knockdown price to an offshore company which then rented the flat to the brother of his fiancée, Elisabetta Tulliani. It’s a muddled story, with many questions left unanswered.

    Paradoxically, the apparently never-ending controversies involving Fini and Berlusconi have passed from the Lower Chamber to a private chamber in Monte Carlo!

     
    Italians have been informed by Il Giornale on a daily basis, and with an echo-like effect all of the media outlets, which at this time of year are usually covering celebrity gossip and fresh recipes, are now reporting on an infamous apartment and the Tulliani family. They became, in the mind of a gifted journalist very adept at free association, “The Tullianos” – the Italian version of the Sopranos!
     
    And every day each episode of the Italian mini-series delivers a surprise. Some interviews with Monte Carlo residents apparently indicated that Fini and his partner Elisabetta Tulliani have stayed at the apartment. This goes against Fini’s statement that he had no idea about what had happened to the flat. Furthermore, Fini offered an eight-point explanation of the deal, denying accusations of inappropriate behavior and claiming that he had only recently learned that Elisabetta Tulliani’s brother was living in the flat. In the meantime, Il Giornale has started collecting readers’ signatures calling for Fini’s resignation and exhibited proof, according to the newspaper, that Fini bought furniture for the flat and was seen there on more than one occasion. The Speaker replied that the accusations are defamatory and has sued for libel.

    In particular, Il Giornale focused on a kitchen that, according to the newspaper, had been transported to Monte Carlo. What a surprise for the average reader of supposedly “serious” journalism to find photos of kitchens and comments about the “cheap” choice within the first few pages of the most important Italian newspaper. It was not uncommon to find families under the sun on Italian beaches and in vacation resorts commenting on the good or bad taste regarding the furnishings in an apartment owned by Fini and the “Tullianos.” 
     
    And the saga continues, on the one hand depicting Berlusconi in a few summer photos as plump with a tense and angry expression. This is in direct contrast to the usual photos of Berlusconi on vacation appearing relaxed, tanned, and smiling. On the other there is Fini, once widely expected to become Berlusconi’s political heir, but who now runs the risk of being ousted from the so-called “House of Freedom” represented by Berlusconi’s party. Fini is not so lucky when it comes to “houses!”
     
    There is also the threat that if the political chaos intensifies, there could be another round of elections. If this is the case, there is a real possibility that the fight between the two contenders may end with the victory of a third, which could very likely be Lega Nord, a party aligned with Berlusconi but one that is looking for more power especially in the northern part of the country. The outsider is the opposition, mainly represented by the Democratic Party which, thanks to internal government fighting, is helping to shift attention from away the crisis and the lack of brilliant ideas to promote itself as a real alternative to Silvio Berlusconi.
     
    One suggestion, made by the Segretario Pierluigi Bersani, seems to be another summer joke: re-launch the party through a door-to-door campaign, literally knocking on each family’s door.  

    For now, the only thing that’s clear is that the summer of 2010 summer will be remembered as the summer of houses….

    Edited by Giulia Prestia

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